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Cola di Rienzo, vita del tribuno amico di Petrarca

Il romano più noto del Medioevo, morì linciato

Redazione Ansa

TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI, COLA DI RIENZO (SALERNO EDITRICE, PP. 312, EURO 28)

Un libro per i fan delle biografie e per tutti coloro che, passeggiando nella Capitale, si sono chiesti chi sia l'uomo che dà il nome a una nota via del quartiere Prati. Parlare di Cola di Rienzo "è uno dei più appassionanti compiti che uno storico possa proporsi", affermava Eugenio Dupré Theseider. Tommaso Di Carpegna Falconieri in "Cola di Rienzo", uscito per i tipi di Salerno Editrice, racconta il cittadino romano più famoso del Medioevo. Cola "si mise a capo del popolo romano, assumendo il titolo di tribuno augusto, per riportare l'Urbe agli antichi fasti".

Prometteva la libertà al popolo quando le città si davano in mano ai signori. Figlio di un taverniere e di una lavandaia, diventò colto e notaio, fu ambizioso, contraddittorio, misterioso. Un giorno, si dichiarò figlio illegittimo di Enrico VII. Cola di Rienzo fu amico di Petrarca, e questo legame "è largamente testimoniato nelle lettere e nelle canzoni del poeta". Cosa avevano in comune? "Petrarca e Cola di Rienzo avvertivano il carico di una civiltà in dissolvimento e sognavano di porvi rimedio, edificando il mito della rinascita del passato", spiega l'autore che aggiunge: "Il poeta vagheggiava un'età di pace e di giustizia, nella quale Roma sarebbe tornata splendida e grande; Cola non era certo da meno e, aiutato dalla comune lettura di Livio, pensava in termini simili". Petrarca definì Cola uomo "dolce e garbato" e "molto facondo e capace di persuadere". La vita di Cola di Rienzo è stata "grandiosamente tragica".

Arrivò a paragonarsi a Gesù: "Come Cristo nel suo trentatreesimo anno, prostrati i tiranni dell'inferno e liberati gli spiriti, ascende al cielo, così io, vincitore senza colpo ferire dei tiranni dell'Urbe e unico liberatore del suo popolo, nello stesso anno di età ho voluto essere assunto alla laurea tribunizia", disse in un discorso. Morì l'8 ottobre 1354 linciato dalla folla, durante una rivolta popolare fomentata dalla nobiltà romana. Cola, assediato nel palazzo del Campidoglio, cercò invano di fuggire. Venne ucciso con un colpo di spada nel ventre da Cecco del Vecchio. Il corpo di Cola fu dilaniato e trascinato nella piazza di San Marcello, ed "esposto al ludibrio della gente e dei ragazzini, che gli gettano le pietre". La salma venne bruciata su un rogo presso il Mausoleo d'Augusto.
   

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