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>>>ANSA/ Luciano Bianciardi, riscoprirlo nel centenario

ironia e malinconia di una una 'Vita agra' sempre contro

Redazione Ansa

(di Paolo Petroni) (ANSA) - ROMA, 10 DIC - Sono 964 gli articoli scritti su 63 testate in venti anni, a partire dal 1952, da Luciano Bianciardi, raccolti e pubblicati in occasione dei 100 anni dalla sua nascita, che cadono il 14 dicembre, essendo nato quel giorno del 1922. Sono uno specchio del nostro paese in quegli anni visto con occhio disincantato, desolato, lucido, spesso feroce, ironico o sarcastico, sempre antifascista nell'Italia della ricostruzione e restaurazione. Il fondo Bianciardi, raccolta di materiale documentario realizzata dalla Fondazione omonima, nata nel 1993 è a Grosseto e la raccolta appena uscita, con una prefazione di Michele Serra, si intitola ''Tutto sommato - Scritti giornalistici 1952-1971'' (ExCogita, tre volumi per complessive pp. 2972 - 150 euro). Il titolo rimanda a un omonimo racconto, censurato nel 1965 e che costò all'autore un processo per oscenità, racconto riproposto integrale, assieme agli atti processuali di quella vicenda in un altro recente volume: ''Imputati tutti. La solita zuppa: Luciano Bianciardi a processo" (ExCogita, pp. 160 - 15,00 euro) a cura della figlia Luciana con prefazione di Giancarlo De Cataldo.
    Quel che dà fastidio a Bianciardi, lo scrittore che ben conosceva la misera realtà dei minatori della sua Maremma, è il conformismo, la rigidità morale, il permanere di peggiori caratteri e difetti dell'italiano durante il periodo del boom economico, realtà cui è come sempre più si sentisse estraneo, straniero. Per lui è ''La vita agra'', come si intitola il romanzo del 1964 che gli darà successo e fama, critico e caustico nel suo realismo. Racconto al fondo autobiografico tra assurdo e incomunicabilità, non come dati metafisici o psicologici, ma come dato realistici del rapporto con una società falsa, malata nel suo arrivismo e consumismo alienante.
    Una descrizione del mondo del lavoro in questa ''vita agra'', con le segretarie onnipotenti che dicono ''il suo nome prigo'' o ''le mie lettere dottàre'', con le loro vocali aperte o distorte, che rivelano la situazione generale attraverso il deteriorarsi, l'ammalarsi delle parole, in un mondo in cui ''tutti si somigliano'' e sembrano far parte di una folla indistinta, quasi nemica. Viene così fuori tutto l'isolamento di un intellettuale che, non integrandosi, si sente spinto ai margini e sceglie l'indipendenza, lavorando come traduttore, ossessionato dall'ostilità del mondo e assillato dai tempi delle consegne.
    Il romanzo, che si conclude con la speranza che prima o poi le persone imparino ''a non farsi nascere bisogni nuovi, anzi a rinunciare a quelli che ha'', era iniziato col protagonista, giovane anarchico toscano, che parte per Milano con l'intenzione di far saltare in aria i ''torracchioni di vetro'' dell'industria proprietaria delle miniere in cui, per inosservanza delle norme di sicurezza, erano morti 43 suoi compaesani.
    ''La vita agra'' si rivela così il racconto centrale di grande quadro composto da una serie di altri lavori d'inchiesta e narrativi, da ''I minatori della Maremmma'', denuncia di situazioni di sfruttamento firmata con Carlo Cassola a metà anni Cinquanta, all'amaro e ironico pamphlet su ''Il lavoro culturale'' che nasce dalla sua difficoltosa esperienza alla Feltrinelli; da ''L'integrazione'' del 1959 che è un po', con la storia dei fratelli Bianchi nel mondo dell'editoria e la crisi degli intellettuali comunisti per i fatti d'Ungheria di tre anni prima, un racconto preparatorio del suo romanzo principale, sino a ''Aprire il fuoco'', caustico e malinconicamente surreale gioco tra passato e presente, con le Cinque giornate di Milano del 1948 ambientate nel 1959 con Carlo Cattaneo sulle barricate assieme a Enzo Jannacci, sino al fallimento della rivolta col ritorno degli Austriaci, e l'io narrante in esilio in attesa di un segnale che ridia vita alla rivolta, pronto ad aprire il fuoco.
    Anarchico, più per toscanaccio carattere che per ideologia, Luciano Bianciardi, oggi tra i tanti autori essenziali del secondo Novecento che sono alla radice dei giovani scrittori odierni, non ebbe vita facile e solo il successo de ''La vita agra'' gli dette un po' di sollievo economico, grazie anche alla trasposizione cinematografica firmata da Lizzani con Tognazzi protagonista.
    Nato a Grosseto il 14 dicembre del 1922, si laureò in Filosofia alla Normale di Pisa, arruolato nel '43 e mandato al Sud, poi si unì agli Alleati come interprete. Tornato a casa, aderì al partito d'Azione, insegnò al liceo e poi diventò direttore della biblioteca Chellina di Grosseto. Dopo la faticata e deludente esperienza milanese si ritirò a vivere e lavorare a Sant'Anna di Rapallo, dal '64, quando uscì uno dei suoi libri storici risorgimentali e legati all'epopea garibaldina: il saggio ''Da Quarto a Torino'', il romanzo ''La battaglia soda'' e poi ''Daghela avanti un passo!''. Nel 1970 tornò a Milano, ma la dipendenza dall'alcol, ormai grave, lo condusse rapidamente alla fine.
    Il Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Luciano Bianciardi, ha già promosso una serie di manifestazioni come i convegni a Grosseto su ''Raccontare il lavoro'' e su ''1922-2022: Balducci, Bianciardi, Pasolini contro la società dei consumi'', mentre si terrà a Roma al Palladium il 14 dicembre ''Bianciardi, una delle avventure letterarie umane più significative del '900'', e una mostra a lui dedicata è aperta sino al 16 dicembre alla Scuola Normale di Pisa. (ANSA).
   

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