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Il dissenso al fascismo, la solitudine di chi seppe dire no

Nuovo libro degli storici Mario Avagliano e Marco Palmieri

Redazione Ansa

La parola antifascismo riporta subito alla mente la Resistenza e la guerra civile che dilaniò l'Italia dopo l'8 settembre. Ma l'antifascismo, o più genericamente, il dissenso al fascismo, fu un fenomeno che interessò la società italiana fin dai primi anni del regime, attraversando periodi di alterne fortune e subendo una spietata repressione da parte delle strutture statali.
    Il fenomeno, più volte sfiorato dalla storiografia, che ne ha approfondito soprattutto gli aspetti più politici, viene per la prima volta studiato in tutti i suoi risvolti dal nuovo libro degli storici Mario Avagliano e Marco Palmieri: "Il dissenso al fascismo" (Il Mulino, pp. 560, 30 euro), che racconta le storie degli "italiani che si ribellarono a Mussolini".
    Il volume colma dunque un vuoto nella storiografia del periodo e affronta in maniera sistematica tutti i differenti aspetti legati all'opposizione al Regime, attraverso il ricorso ad una enorme mole di documenti, non soltanto pubblici, ma anche e soprattutto privati, fra lettere, diari, messaggi e appunti personali. Scritti e testimonianze che rivelano come, sottotraccia alla sbandierata adesione di massa al regime, fin dai primi anni del Ventennio sia rimasto vivo, fra la gente comune, un diverso sentimento, a volte di semplice distacco, altre di più marcata critica, se non di chiara e dichiarata opposizione al partito fascista e ancora più direttamente alla figura di Mussolini.
    Seguendo in ordine rigorosamente cronologico le diverse fasi storiche dell'affermazione, il consolidamento e poi il lento declino legato soprattutto alle vicende belliche, fino alla caduta del Duce, il volume affronta i diversi temi ed i più differenti aspetti del fenomeno. Primo fra tutti, ovviamente, quello prettamente politico, vissuto all'interno e all'esterno del Parlamento a cavallo dell'assassinio di Matteotti, fino allo scioglimento delle Camere ed alla messa al bando delle organizzazioni pubbliche che si opponevano al fascismo. Emergono qui, soprattutto - ma non soltanto - attraverso le lettere dal carcere e dal confino, alcune delle quali molto famose, le personalità più luminose dell'antifascismo, da Gramsci a Togliatti, da Pertini a Turati, da Sturzo a De Gasperi. Poi del mondo della cultura, ma anche dello spettacolo, dell'editoria e del giornalismo.
    Ed è già in queste prime fasi che emerge la fortissima e radicata capacità del regime di intercettare, bloccare e punire ogni forma di dissenso. Una censura che colpiva ovviamente le esternazioni pubbliche di critica e opposizione, ma anche quelle private, attraverso una rete di informatori, delatori e spie, che indicavano e mettevano all'indice qualsiasi 'scostamento' dai binari indicati dal potere, colpendolo con punizioni durissime, che dalla censura arrivavano al confino, fino al carcere e alla condanna morte.
    Proprio i documenti della censura, affiancati dai rapporti di polizia e dalla corrispondenza quotidiana, oggi ci permettono di ricostruire il pensiero della "gente comune", espresso attraverso sfoghi personali, ragionamenti privati, ma anche esternazioni più estemporanee, dalle semplici imprecazioni o critiche rivolte in luoghi pubblici al regime o ai gerarchi, alle barzellette, freddure, battute, che mettevano alla berlina Mussolini ed il suo sistema di potere. Raccontando una miriade di straordinarie storie private di coraggio vissuto nella quotidianità della vita di ogni giorno.
    Posizioni critiche, c'è da dire, che durante il Ventennio non si coagularono in un coerente sistema di opposizione al Regime, ma vissero una dimensione prettamente privata, spesso in un'alternanza di alti e bassi, collegati alle alterne fortune vissute dal Fascismo visse nel corso del tempo. Al primo periodo di consolidamento del consenso, seguì infatti un'adesione quasi plebiscitaria alle sorti del Regime nel periodo della guerra d'Etiopia, quindi un nuovo rialzare la testa del dissenso durante la guerra di Spagna e le sconfitte africane, ma mai in maniera organica e organizzata. E nemmeno l'emanazione delle leggi razziali del 1938 ebbe il potere di rafforzare queste posizioni, tanto che la novità fu accolta dalla società quasi con indifferenza, senza creare alcun diffuso e organico movimento di opinione.
    Il volume di Avagliano e Palmieri permette quindi di evidenziare e mettere al centro della narrazione proprio questo aspetto: la "solitudine" degli antifascisti, costretti per due decenni a vivere ed esprimere le proprie idee nello sfogo personale dell'invettiva, a fronte di una pervasività totale del potere totalitario. Tanto che, come ha osservato lo storico Luciano Zani alla presentazione a Roma del volume, è possibile sostenere che quella dell'antifascismo sia in gran parte "la storia di una sconfitta storica" e, come osservava Calamandrei, la vicenda umana di coloro che "per vent'anni ogni giorno hanno avuto torto". 
   

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