Pubblichiamo, per gentile concessione di Marsilio, un estratto dal nuovo romanzo di Walter Veltroni 'Buonvino e il circo insanguinato', in libreria dall'8 ottobre.
Il brano è l'incipit del capitolo 4.
"Il domatore stava sistemando l'insegna luminosa sul cancello che delimitava l'ingresso al tendone, e nel vedere arrivare un uomo distinto e affascinante accompagnato da due agenti in divisa - uno scuro di carnagione e l'altra bellissima - rimase basito. Sembra l'incipit di un film di Buñuel, pensò Osvaldo, mentre li guardava avvicinarsi in controluce, come sospinti dal vento gelido di quel giorno.
Ancora non abbiamo aperto e già vengono a controllarci?, si disse valutando se avvertire o meno Ercole, il direttore di scena. Era lui che, gestendo tutti i permessi, poteva rispondere a domande sulla cura degli animali e interloquire con le pubbliche autorità. Lui, Osvaldo, era un semplice domatore, per di più impegnato, in quel preciso momento, in mansioni da semplice operaio, come facevano tutti, nella carovana. Stava sistemando un'insegna, non avrebbe neanche potuto far valere l'autorità della divisa rossa - in verità consumata sui gomiti - e degli alamari dorati che facevano tanto decorazioni di guerra.
Lui sapeva, per esperienza, che se si mostrava così, in borghese, prima dello spettacolo, nessuno se lo filava, ma se indossava la sua divisa, allora gli occhi del pubblico venivano calamitati, affascinati dal suo regale portamento, per di più esaltato dalla consapevolezza del suo sprezzo del pericolo. Dal coraggio naturale del domatore.
Ma ora indossava una tuta da operaio, sembrava l'ultimo della fila, uno degli schiavi che costruivano le piramidi. Cosa ne potevano sapere, quei poliziotti, delle origini del suo lavoro? Del fatto che le prime fiere furono fatte sfilare tremilacinquecento anni prima in Egitto, e che di tigri e ghepardi ammaestrati parla già Marco Polo nel Milione? Adesso sistemava un'insegna mezza rotta - nonostante mille tentativi, infatti, la seconda C del nome CIRCO COLAIACOMO non si accendeva -, ma aveva una bella storia, come persona e come artista circense, della quale era orgoglioso. Non si facessero ingannare dalle apparenze, dunque.
'Buongiorno, c'è un responsabile con cui possiamo parlare?' chiese gentilmente Buonvino.
Si erano fatti ingannare dalle apparenze, scambiandolo per l'ultima ruota del carro. E invece io sono il domatore, una delle star, caspita! Ma sarebbe stato troppo lungo spiegare tutto questo. E allora Osvaldo si decise a chiamare Ercole, che doveva essere già sveglio, anche se, come tutti i comandanti, si alzava sempre dopo gli altri, invocando, come giustificazione, lo spaventoso carico di responsabilità che gravava sulle sue spalle e gli impediva di prendere sonno facilmente, la notte dopo lo spettacolo. Tra i dipendenti circolava invece una versione diversa. Che lui, in verità, si addormentasse spesso durante l'esibizione, anche in occasione dei numeri più pericolosi, e che talvolta il suo russare arrivasse, in forma di grugnito, in pista e tra il pubblico.
'Sì, ora glielo chiamo. Il dottor Ercole è il direttore di scena. Intanto, se volete accomodarvi...' Buonvino, Cecconi e Robotti varcarono quella soglia, e misero i piedi, disciplinatamente, sul tappeto rosso, in certi punti molto liso, che come una guida li depositò all'interno.
Ora erano soli, loro tre. Il tendone era grande, gli spalti ovviamente deserti, la pista priva di luci e di suoni. Il tutto trasmetteva un senso di desolazione, di malinconia.
Buonvino pensò che era sempre stato quello il suo rapporto con il circo. Da bambino sua madre lo portava durante le feste, quando il tendone arrivava in città. Lui ci andava più per non deluderla, che per convinzione. Ciò che più lo attirava era il baracchino dello zucchero filato, una meraviglia per il palato la cui complessa fabbricazione gli era sempre rimasta inspiegabile. Ma per il resto, Giovanni avrebbe voluto fuggire".
(ANSA).
Buonvino e il circo insanguinato, un brano dal libro di Veltroni
In libreria l'8 ottobre. Per gentile concessione di Marsilio