Sfila nel silenzio, sotto gli occhi della senatrice a vita Liliana Segre, la collezione per il prossimo inverno firmata Giorgio Armani. "La mia decisione di non usare la musica nello show è stata presa in segno di rispetto per le persone coinvolte nella tragedia in corso in Ucraina" spiega in inglese una voce fuori campo prima della sfilata. Un annuncio accolto da un caloroso applauso, prima che sulla sala cali il silenzio, rotto solo dal frusciare delle paillettes e dall'eco dei tacchi sulla passerella di vernice nera. "Qualche ora prima dello show ho pensato a cosa potevo fare io per ciò che succede, non è l'invio di soldi o vestiti, ma potevo segnalare il mio battito del cuore per questi bambini" dice Giorgio Armani non riuscendo a trattenere la commozione. "Quindi ho pensato che la cosa migliore era dare il segnale che non vogliamo festeggiare, perché c'è qualcosa intorno a noi che ci disturba molto. Così ho detto: non voglio musica, e devo dietro che si sentiva la non musica e dietro le ragazze erano emozionate, più che per qualsiasi musica, erano davvero comprese e i capi ne hanno guadagnato al 100%". Dal pubblico in sala, la sensazione condivisa di assistere a un momento storico nella storia della moda e il sollievo nel vedere, praticamente all'ultimo giorno di sfilate, una presa di posizione forte rispetto alla guerra in corso. Una sensazione sottolineata dalla presenza, alla sfilata, della senatrice a vita Liliana Segre. "L'ho incontrato alla prima della Scala ed è stata molto gentile, credo abbia espresso lei - dice Giorgio Armani - il desiderio di venire a vedere la sfilata, magari avrà riserve su un certo tipo di moda, anche la mia, ma è un grande onore". "Le vorrei chiedere tante cose ma credo che non le chiederò niente - confida lo stilista - quando vedo un programma sull'Olocausto non resisto, io devo vedere, rendermi conto di cosa devono avere sofferto questi esseri umani, chiusi lì, in attesa di andare via per fumo: partecipare al loro dolore, anche semplicemente dalla poltrona di casa mia, mi sembra che ne valga la pena". In passerella, un distillato dell'eleganza sobria di Giorgio Armani per lui e per lei, con tanto velluto nero, piccole giacche stampate o ricamate, bagliori di luce che accendono la notte e si riversano nel giorno e una marea di pantaloni diversi "perfetti perché coprono ciò che devono e danno slancio quando non c'è, non c'è gonna - dice il designer - che equivalga alla modernità di un pantalone". E poi il nero, ma declinato in mille modi, dal velluto al ciré, dal cady al plissé, con risultati diversi a seconda degli abbinamenti: calzone di velluto e giacca ricamata, pantaloni di paillettes e blusa monocolore. Il tutto proposto sempre in maniera misurata e gentile, come negli abitini danzanti di frange scintillanti portati con stivali alti come calze: "è finita - riflette Armani - l'era delle virago, ben venga la donna forte e sicura ma elegante, con un'interiorità che deve trapelare". Così lei così lui, mai sopra le righe, con le giacche senza collo, le camicie dai colletti alti, i completi in velluto. "Sono tornato alle origini, al mio modo di vedere l'uomo e la donna che, alla fine, possono essere intercambiabili. Non c'è bisogno di osare, basta solo - sottolinea - guardarsi allo specchio". Ricordando che "anche ai tempi di Giulietta e Romeo gli uomini indossavano la calzamaglia", Armani sottolinea che nella moda "non si inventa niente, è come le metti insieme, le cose già viste, che conta, facendo scelte precise che eliminano cose superflue: è la donna - la sua lezione finale, quasi a suggello della fashion week - che si deve vedere, con i suoi occhi e con quelli degli altri".
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