All'inizio della sua carriera avrebbe voluto fare della musica stile Radiohead ma oggi, dopo 70 milioni di dischi, 18 Brit awards e il recentissimo riconoscimento come Brits Music Icon, Robbie Williams ha fatto pace con se stesso: "quello che faccio io non lo fa nessuno - rivendica l'ex Take That - con i miei show voglio intrattenere, tanto che sul mio passaporto non c'è scritto artista o cantante, ma entertainer".
Non è un caso che il suo nuovo album si chiami proprio 'Heavy entertainment show' e che con il suo pop orgogliosamente commerciale, fatto di belle melodie e ritornelli che si stampano in testa, sia indirizzato a tutti, ma proprio a tutti: "Qualsiasi cosa si pensi di Trump e Putin è un bene che le due parti del pianeta si parlino, spero che la presidenza di Trump passi alla storia per questo.
E invece Robbie lo ha fatto alla grande, con un album pieno di collaborazioni eccellenti, come quelle con John Grant ("I Don't Want To Hurt You") e Rufus Wainwright ("Hotel Crazy"), ma soprattutto tornando a lavorare con Guy Chambers: "insieme avevamo fatto cinque dischi, ma poi ho avuto dubbi, odio, mancanza di rispetto per ciò che avevo fatto e ho voluto chiudere tutto. Negli album passati ho cercato di essere interessante, di sperimentare, di non scrivere hit e - scherza - ci sono riuscito". Per questo nuovo lavoro, invece, ha pensato a qual era il motivo per cui la gente si era innamorata delle sue canzoni e ha voluto ricreare quella magica alchimia con Chambers che si riaccende in hit come 'Love my life', il singolo che presenta questa sera a 'X factor'. "Questa volta il mio intento era scrivere un album commerciale, mi sono impegnato genuinamente per questo, poi ascoltando la radio mi sono accorto che suona diverso - nota - da quello che c'è in giro, diciamo che sarebbe un bel disco commerciale se fossimo nel 2003". Anni lontani, in cui era baciato dal successo ma - racconta - stava molto male: oggi, invece, "sono più in pace, sono felice con me stesso". Come ci è riuscito? "Ho trovato i farmaci giusti" ammette ironico, spiegando poi che la sua è "una personalità dipendente: vivo tutto all'ennesima potenza, ma oggi ho spostato questa mia caratteristica al positivo, cercando di essere un buon padre e un buon marito. Cerco di guidare la nave Robbie nella direzione giusta e non so come starò domani, ma oggi sto bene". Anche per questo, dopo 17 anni in America, Robbie è tornato a casa, a Londra, per far crescere i suoi figli "con una sensibilità europea". La sua patria lunedì lo ha insignito del riconoscimento di Brits Icon Award, finora tributato solo a Elton John e David Bowie: "da un lato ne sono onorato, dall'altro vorrei che questi complimenti mi arrivassero davvero, invece, da bravo inglese, sono una sorta di maestro di kung fu nello schivarli". Anche a chi gli chiede quale sia il segreto del suo successo, l'idolo del pop risponde evasivo: "non saprei, c'è chi dice di non aver rimpianti perché ogni scelta contribuisce a renderci ciò che siamo, io sono pentito persino di aver mangiato cioccolata ieri sera. Ogni tanto - ammette - mi viene la paranoia che tutta questa fortuna non sia reale. E non fa bene alla salute". (ANSA).
Robbie Williams, ora sono in pace con me stesso
Esce 'Heavy entertainment show', pop commerciale con orgoglio