Affronta la sua ricerca con l'ardore di un missionario. E questa è forse la definizione più giusta per Francesco Lotoro, che da 33 anni a questa parte si è dato il compito di salvare la musica creata nei lager.
Le dimensioni del lavoro di questo ricercatore solitario, che ha proceduto per anni senza alcun sostegno, sono impressionanti: 8000 spartiti, 12 mila documenti, 400 ore di interviste ancora da rielaborare, "i colloqui con almeno 200 sopravvissuti, e poi con i loro figli e i loro nipoti...".
Pianista e musicologo a sua volta, Lotoro ha fatto un primo bilancio di quest'opera - circoscritta al ventennio 1933-1953, ma che riguarda tutta la musica concepita in stato di detenzione civile o militare - in un libro uscito il 20 gennaio, edito da Feltrinelli: "Un canto salverà il mondo". "È il modo migliore per divulgare il senso della ricerca. Ma ho finito anche la stesura di un'enciclopedia in 12 volumi", per dare accesso a tutto il materiale scoperto in questa straordinaria caccia alla "musica creata". "Quella scritta, composta sulle partiture, ma anche quella tramandata a memoria, per tradizione esclusivamente orale", spiega. Perché se addirittura ad Auschwitz la musica non era interdetta - c'erano sette orchestre e "i responsabili del campo se ne facevano vanto" - ai prigionieri politici era proibito scrivere. "A Sachsenhausen, Alexander Kulisiewicz compose 54 canzoni e poi memorizzò 716 canti in diverse lingue, lui ne sapeva già 4. Quando arrivò a Cracovia in ospedale, con la tisi, una infermiera trascrisse tutto in tre settimane".
È affascinante scoprire i dettagli anche sui compositori costretti nei lager: "Usavano tutto il possibile per scrivere: perfino la carta igienica e il carbone vegetale, che venivano forniti in abbondanza nei casi di dissenteria". "Non abbiamo potuto salvare quelle vite, ma abbiamo salvato la vita del cuore e dell'intelletto di tanti deportati, l'ingegno che si esprime appunto nella musica". Il Quartetto Gershwin, ospite dell'ambasciatore Armando Varricchio, esegue sonate, romanze, una polka, e Lotoro racconta il contesto di ogni creazione. Per dare il senso della forza dello strumento terapeutico rappresentato dalla "spontaneità" del canto, aggiunge un aneddoto: "Herbert Zipper era seduto su una panchina di Vienna insieme a centinaia di deportati diretti a Dachau. Era il maggio 1938. A un certo punto intonò l'Inno alla Gioia di Beethoven e centinaia di altri prigionieri lo seguirono a ruota all'unisono, in faccia ai soldati tedeschi. È in momenti come questi che nasce l'Europa. Ad opera di chi, evidentemente, già la sentiva".
Per saperne di più? A Barletta, la città d'origine in cui vive, nascerà una "Cittadella" della musica concentrazionaria.
"Il cantiere su 10 mila metri quadrati sarà avviato quest'anno, con risorse del Comune, della Regione Puglia e della presidenza del Consiglio". (ANSA).
Lotoro, 33 anni per salvare la musica dei lager
Racconta la sua missione, 'da 8000 spartiti ai canti a memoria"