È morto a 81 anni a Detroit Sixto Rodriguez, il cantante americano che dopo tre dischi pubblicati all'inizio degli anni Settanta divenne, a sua completa insaputa, uno dei simboli della lotta all'apartheid in Sudafrica. La sua vicenda è stata riportata alla ribalta nel 2012 dal documentario Searching for Sugar Man che nel 2013 ha vinto il premio Oscar. Fra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, mentre lavorava come operaio nell'industria automobilistica e si esibiva di sera con la sua chitarra nei locali di Detroit, pubblicò tre album nei quali trattava soprattutto temi sociali. Nonostante alcuni critici lo ritenessero al pari di Bob Dylan, il suo lavoro non ottenne praticamente nessun successo, tanto che Rodriguez tornò a fare l'operaio, mise su famiglia e continuò a impegnarsi nella politica della sua città. Ma le vie della musica sono infinite e mentre negli Stati Uniti nessuno conosceva questo folksinger figlio di un immigrato messicano, nell'emisfero australe divenne una celebrità: in Australia e in Nuova Zelanda (grazie ad alcuni passaggi in radio), ma soprattutto in Sudafrica dove all'epoca, a causa del regime dell'apartheid, il paese era di fatto culturalmente isolato dal resto del mondo. Le copie dei suoi album cominciarono a girare più o meno clandestinamente, ma ebbero una diffusione incredibile: tutti conoscevano le sue canzoni, a cominciare da Sugar Man, e alcuni dei suoi testi divennero degli inni della lotta all'apartheid. Una fama alimentata anche da alcune leggende metropolitane che si diffusero per la sostanziale impossibilità di verificarle: si diceva che si fosse suicidato sul palco durante un concerto, che si trovasse in carcere o in manicomio. Lui, nel frattempo, non solo faceva l'operaio e il sindacalista nella sua città, ma era totalmente all'oscuro della sua incredibile fama in Sudafrica, dove si diceva fosse più famoso dei Beatles e di Elvis Presley. E, ovviamente, non ha mai visto un dollaro dei diritti d'autore che qualcuno ha incassato al suo posto, grazie alle montagne dei suoi dischi che ogni anno si vendevano in Sudafrica. A cambiare tutto è stata la diffusione di Internet: nel 1997 un giornalista musicale sudafricano aprì un sito per cercare 'Sugar Man' partendo dalle pochissime informazioni che aveva a disposizione, ovvero che si chiamava 'Rodriguez' (come riportato sulla copertina dei dischi) e che era americano. Il nascente villaggio globale compì un miracolo che fino a qualche anno prima sarebbe stato impensabile: la figlia di Sixto, incredula, venne a conoscenza di questa iniziativa e contattò via mail gli autori della ricerca che, altrettanto increduli, organizzarono un viaggio in Sudafrica, con sei concerti partecipatissimi. Arrivò a Città del Capo con la sua chitarra e la band che avrebbe dovuto aprire i suoi concerti si esibì con lui perché la sua musica, che negli Usa e in Europa era sconosciuta, aveva formato una generazione di musicisti sudafricani. Ma è stato solamente dopo l'uscita del documentario diretto dal regista svedese Malik Bendjelloul (morto suicida l'anno dopo aver vinto l'Oscar) che Sixto Rodriguez ha ritrovato, ormai ultrasettantenne, il posto che gli sarebbe sempre spettato nella storia della musica: i suoi dischi sono stati ripubblicati e lui è tornato ad esibirsi, non più nei locali fumosi e scalcinati della Motor town, ma nelle grandi hall americane davanti a decine di migliaia di spettatori. Increduli anche loro che l'America si fosse persa per cinquant'anni, nonostante li avesse sotto gli occhi, il talento straordinario di un musicista e le sue canzoni talmente potenti da diventare, da sole, un simbolo universale dell'uguaglianza degli esseri umani.
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