Cultura

Trent'anni senza Modugno, rivoluzionario della musica

Non solo le canzoni, la tv, il cinema e la politica

Redazione Ansa

Trent'anni fa, il sei agosto 1994, se ne andava Domenico Modugno. Tre decenni sono un tempo lungo ma forse proprio per questo rendono ancora meglio l'idea dell'importanza eccezionale del personaggio, mai uscito della memoria collettiva perché, nella storia dello spettacolo italiano, continua a rappresentare una splendida eccezione.

Modugno, artisticamente parlando, è stato infatti un rivoluzionario che non solo ha cambiato più volte le regole e i codici della canzone italiana ma ha incarnato quella figura di entertainer completo, che nella nostra tradizione ancora oggi è una rarità: una figura di artista capace di essere, oltre che autore, attore, cantante, conduttore, sul palcoscenico come sul piccolo e grande schermo mantenendo intatta la sua forza espressiva.

 Aveva un carisma fuori dal comune e una fisicità dal fascino magnetico, un talento innato coltivato seguendo i corsi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma che gli permetteva di dominare la scena.

 E' stato il primo a portare al successo la musica Folk quando, all'inizio della carriera, lui pugliese di Polignano a Mare, usava un dialetto salentino molto simile al siciliano tanto che agli inizi della carriera si spacciò per siciliano aprendo così una ferita con i suoi conterranei, che si sentivano traditi, che si sanò definitivamente solo il 26 agosto 1993 quando, praticamente un anno prima della morte, fece un concerto nella sua Polignano davanti a 70 mila persone. "Chiedo scusa - disse - ma per la fame avrei detto anche di essere giapponese!".

Al Festival di Sanremo del 1958 con "Nel blu dipinto di blu" ha cambiato per sempre il corso della canzone italiana, liberandola dalla retorica e dai luoghi comuni melodici: le braccia spalancate durante il ritornello swingato sono ancora oggi la pietra miliare della moderna canzone italiana.

Grazie a "Volare", come poi è stata chiamata in tutto il mondo, Modugno è stato il primo cantante pop italiano a conquistare prima l'America e poi il mondo intero, il primo a vincere un Grammy, il primo artista veramente internazionale che non fosse un tenore specializzato in arie d'opera o canzoni napoletane.

Non c'è, nella storia dello spettacolo del nostro Paese, un artista che sia stato capace di avere un successo così eclatante nella musica e nel teatro, dove dagli spettacoli di Garinei e Giovannini alla meravigliosa edizione dell'"Opera da tre Soldi" firmata da Giorgio Strehler in cui era un perfetto Mackie Messer accanto a Milva, splendida Jenny delle Spelonche, è stato un vero e proprio mattatore che ha lasciato un segno profondo anche in televisione.

In lui convivano un'anima popolare e lo spirito di un artista capace di lavorare con Eduardo De Filippo e Quasimodo, di cantare "Piange il telefono" e testi di Pier Paolo Pasolini, compresi i titoli di testa di "Uccellacci Uccellini".

Un cultore del dialetto, che considerava lo strumento espressivo naturale degli italiani, che usava con naturalezza il napoletano e che ha lasciato una grande canzone "in lingua" come "Resta cu'mme", diventata un classico della musica di Napoli.

Un uomo dal carattere complesso che negli ultimi dieci anni della sua vita è stato duramente colpito nel fisico, costretto su una sedia a rotelle: sono gli anni del suo ingresso in politica, eletto prima alla Camera con i Radicali, diventò Senatore nel 1990 impegnandosi nella difesa dei diritti dei disabili.

La menomazione fisica non gli impedì di riprendere la sua attività dal vivo, in esibizioni che erano la dimostrazione di una vitalità fuori dal comune, di un uomo che non si arrendeva a nessun costo alla malattia.

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