Cultura

Fratelli D'Innocenzo, amiamo gli ultimi, sono come noi

Dostoevskij, la serie va in sala. Futuro? Ci piacerebbe Petrolio

Redazione Ansa

 "Il nostro cinema è quello degli ultimi, pensiamo a I poveri di William T. Vollmann che è stato un riferimento diretto per la serie Dostoevskij. Io e mio fratello siamo i primi ad essere ultimi l'uno per l'altro. Siamo sempre stati dove sono i disadattati e questo non in senso denigratorio, ma al contrario. Tra gli ultimi, tra i randagi si è molto più spontanei, ci sono meno apparati che appartengono alla finzione". Così stamani all'ANSA Fabio e Damiano D'Innocenzo si raccontano nel presentare Dostoevskij, serie Sky Original, una produzione Sky Studios prodotta con Paco Cinematografica, da loro scritta e diretta, già al Festival di Berlino e ora in sala in due parti con Vision Distribution nella settimana dall'11 al 17 luglio prima di andare in onda in 6 parti su Sky. Un noir esistenziale, lisergico, cupo, senza speranza, ma completamente coinvolgente questa serie girata per la gran parte su un litorale laziale "che sembra l'Alabama",con protagonista Filippo Timi nei panni di Enzo Vitiello, tormentato detective dal passato doloroso che fa uso di droghe per non scomparire del tutto. Un uomo che vive in una casa isolata e fatiscente sul fiume con una figlia, Ambra (una bravissima Carlotta Gamba), che lui nel passato aveva allontanato per un motivo straordinario quanto irraccontabile senza fare spoiler.
    Un poliziotto comunque ossessionato dalle parole del serial-killer a cui sta dando la caccia, ovvero quel Dostoevskij, tanto feroce quanto raffinato nelle lettere che lascia dove passa. Nel cast anche Gabriel Montesi e Federico Vanni. E il futuro di questi singolari giovani registi gemelli? "Non è detto che continueremo a fare questo lavoro, ma se venissimo presi da nuove ossessioni, da nuove ferite che vogliamo condividere andremo avanti. Noi siamo molto innamorati e come gli innamorati abbiamo bisogno del dolore per creare. Al momento ci sono tre libri che potrebbero diventare film: Petrolio di Pasolini, ma anche Dissipatio H.G. di Guido Morselli, un libro raccapricciante, un'esagerazione e Canti del Caos di Antonio Moresco, oltre mille pagine piene. Tre opere con le nostre ossessioni di sempre: gli ultimi, i poveri, quelli che non sono stati capiti".
    È giustificato il timore reverenziale verso il cinema Usa? "No, quello che si fa in Europa è altrettanto affascinante e viene invidiato. Lo diciamo perché quando abbiamo incontrato i produttori americani subito ci hanno chiesto di andare a lavorare con loro. Purtroppo in Italia ci sono due categorie: gli ambiziosi che diventano egoisti e gli umili che diventano dei coglioni. Si dovrebbe trovare un bilanciamento più equo tra queste due categorie".
    Vi siete sempre definiti super appassionati "Credo che le persone siano spaventate delle passioni altrui - dicono i registi di Favolacce - perché nella passione c'è sempre una sorta di disperazione e le persone disperate fanno paura. Noi siamo invece attratti proprio dalle persone disperate, quelle che non sopportiamo sono quelle che funzionano troppo bene".
    Perché tante immagini di cibo nei vostri film? "Perché ti indirizza immediatamente da qualche parte, ti fa capire subito dove sei, ti dice le cose che si possono dire e quelle che non si possono dire".
    Fareste mai una commedia? "Sì, magari - dicono - ne abbiamo scritte un paio. In realtà passiamo la maggior parte della nostra vita a ridere piuttosto che a riflettere, ma è anche vero che preferiamo sempre fare le cose che ci spaventano piuttosto che quelle che ci fanno stare sereni"
   

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