"Buonasera, mi chiamo Anna M… Ah, lo sapete già il cognome? Beh, mi fa piacere. Sono una persona molto ordinata. Ho imparato a essere ordinata, per amore. Luca, mio marito, ama la casa linda e pinta. Ognuno ha il suo ordine. Il mio posso farlo solo nella stanza dove sistemo i panni". Sola in scena, Anna inizia così la discesa negli inferi del suo incubo. Quello di una moglie, che ha dovuto trovare la sua via per sopravvivere alla violenza quotidiana. A darle corpo e voce è Milena Mancini con "Sposerò Biagio Antonacci", monologo di cui è autrice e interprete, per la regia del marito Vinicio Marchioni, in prima assoluta il 26 e 27 giugno al Campania Teatro Festival. Un'ora di vita affannata in scena, tra mansioni domestiche e pensieri sul passato, nel disperato tentativo di giustificare il suo adorato Barbablù. "È da quando con Vinicio abbiamo portato a teatro la storia di Sibilla Aleramo e Dino Campana con La più lunga ora, ormai cinque anni fa, che ho iniziato a occuparmi di violenza sulle donne", racconta all'ANSA l'attrice nel pieno di un'impegnatissima stagione, tra il cinema, con Il Giorno e la Notte di Daniele Vicari, film girato tutto durante il lockdown. E la tv, con i set Sky di A casa tutti bene - La serie di Gabriele Muccino (dove interpreta il ruolo che al cinema fu di Claudia Gerini) e Christian di Stefano Lodovichi. E dal 20 al 25 agosto c'è anche il San Ginesio Fest, che co-dirige insieme a Marchioni e che riempirà strade, piazze e siti d'arte del centro marchigiano con un cartellone di teatro, performance, danza e musica. "Non ho nessun vissuto di violenza- prosegue lei raccontando lo spettacolo - ma come artista mi sento chiamata a farmi portavoce di certe problematiche. E di violenza sulle donne non si parla abbastanza". "E' uno spettacolo per riflettere", le fa eco a distanza Marchioni, con cui da dieci anni condivide vita e spessissimo scene, set, scritti, casa di produzione (la Anton intitolata a Cechov di cui hanno firmato uno Zio Vanja ambientato nei luoghi del terremoto) e due figli, Marco e Marcello. "Non può essere normale - scrive lui nelle note di regia - che una donna venga uccisa, molestata, o costretta a subire qualsiasi forma di violenza da uomini indegni di essere chiamati tali". Con la pandemia e il lockdown, poi, prosegue la Mancini, "il fenomeno si è aggravato ulteriormente e le stesse statistiche di femminicidi e abusi che cito in scena a fine serata sono già superati. La Aleramo - ricorda - con il romanzo Storia di una donna fu la prima a scriverne ed essere tradotta in tutto il mondo. Quel seme lì, piantato, ha cominciato a germogliare in me. Volevo fare la mia parte e ho scelto la chiave dell'ironia, perché il pubblico seguisse ciò che racconto e perché è la chiave che noi donne spesso usiamo per affrontare la vita". Ma guai a farsi ingannare. "Per scrivere il monologo - dice - ho ascoltato molte interviste di donne che hanno subito violenza. Di Anna come la mia, purtroppo ne esistono tantissime. E al contrario di quello che si potrebbe pensare, sono tutte donne con una grandissima forza. Hanno solo ceduto per amore o paura". Così Anna, davanti a un Commissario di Polizia, con semplicità e schiettezza a volte disarmante, sminuisce, scherza e ripercorre la storia della sua vita, rintanata in casa, alla ricerca di una colpa che non esiste (e con finale a sorpresa). Ma la violenza sulle donne oggi assume molte forme. "Spesso è la società che è volutamente cattiva - prosegue la Mancini - Nel monologo racconto anche la grande discriminazione di cui sono spesso vittime le donne che a una certa età non hanno figli". Romanzi a lieto fine, un matrimonio immaginario sono l'ancora di salvezza di Anna, come l'amore per le canzoni di Antonacci. "Quello è uno dei lati che fanno parte di me - sorride l'attrice - Adoro Antonacci e quando gli abbiamo chiesto il permesso di utilizzare il suo nome nel titolo ci ha sorpreso: prima ci ha voluto incontrare, poi si è messo a improvvisare e mi ha regalato le musiche dello spettacolo". Anche quello è un modo per fare la propria parte. (ANSA).
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