(ANSA) - ROMA, 15 LUG - "Sono restio a fare il grillo parlante. Però quando porti in scena uno spettacolo oggi, con le preoccupazioni che abbiamo, dal covid alla guerra, non puoi pensare a un lavoro d'autore e raccontare cosa tu hai capito del mondo. Devi fare innanzitutto un esercizio fondamentale: costruire un vestito di pezzi di carta con una buona colla, che tenga dentro dalla prima all'ultima poltrona. Devi tenere insieme le persone che hai davanti, ostinatamente, sera per sera, perché arrivano sole e non devono andar via sole. Sostanzialmente, devi far politica, nell'accezione più antica della parola". Così Marco Paolini torna al Teatro Romano di Verona, ospite questa sera e domani della 74/a edizione dell'Estate Teatrale Veronese, con la prima nazionale di Boomers, nuovo Album scritto a quattro mani con Michela Signori, a vent'anni dal Bestiario veneto (altre tappe, il 18 luglio al Festival di Villa Arconati a Milano e il 19 a Bassano del Grappa per OperaEstate). "È uno studio, non lo considero ancora uno spettacolo finito - racconta l'attore all'ANSA - Anagraficamente, rientro anche io nei Boomers (i nati tra il 1946 e il 1964 ndr), anche se poi le generazioni sono solo una convenzione che usiamo per marcare il tempo, una ogni 25 anni. A guardare i dati, però, mi sono reso conto che quella dei Boomers è stata l'ultima che ha avuto la massa critica per poter modificare degli equilibri. È l'ultima in crescita di nascite. E i dati ecologici e ambientali di oggi ci inchiodano a responsabilità nette nei confronti del pianeta". Questo, il punto di partenza per il suo nuovo viaggio. Un salto indietro nei ricordi, nei frammenti di memorie condivise di un piccolo mondo non antico, ma tramontato, sepolto nella rapida trasformazione del paesaggio, del costume, della dipendenza da tecnologie portatili. In scena, "la storia di un figlio che inventa un videogioco immersivo in cui un padre si ritrova ad avere vent'anni, nel mondo che ha perduto. Il suo Jurassic Park è il bar della Jole, dove ritrova personaggi e avventure, ma diversi da come ricordava". Un confronto con la memoria e un dialogo generazionale in cui "non mi è difficile immaginare - sorride Paolini - che una quota di spettatori deve spiegare la parola eschimo al proprio vicino di sedia e una quota la parola laggare all'altra metà. La mia chiave è ovviamente l'ironia e dove necessario un po' di lirica e poesia". E poi la musica, con le canzoni che "ti riportano subito a quell'epoca", con la voce di Patrizia Laquidara e i musicisti Davide Pezzin e Davide Repele. "Quando uso la parola 'politica' - prosegue - intendo la sua definizione più antica: qualcosa che non lascia indietro le persone, che permette all'ultimo di vedere quello che ha davanti e di non scollarsi dal gruppo. Per farlo è meglio che io non usi mai la parola più veloce. Non posso dire 'Draghi' in palcoscenico. Meglio riferimenti più leggeri, come la musica". Ma lui, classe 1956, diventato padre 7 anni fa di Giacomo, lo vive già quel confronto generazionale e la responsabilità di ciò che la sua generazione lascerà ai propri figli? "Per ora è ancora un paradiso, ma tutti quelli che hanno figli già grandi mi dicono: 'eh, vedrai…'. Io sono qui che aspetto", ride. Poi torna serio. "Mi sentirei falso come Giuda a veicolare personalmente a un esserino così la parola 'memoria'. Preferisco giocare sul palcoscenico con gli altri genitori. A lui posso solo far venire voglia di qualcosa. Di fronte alle domande del figlio sull'ambiente, in scena il mio personaggio si difende: 'non eravamo tutti uguali'. Ma questo non può essere un alibi. Su temi così importanti avrà poco senso domani fare distinzioni tra chi la pensa in un modo o nell'altro. O si riuscirà a risolvere il problema oppure no. L'ambiente non discute. Non è come lo spread".
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