Cultura

Puglisi con Handke porta in scena i disastri della guerra

Vite sconvolte, sopravvivere alla perdita di patria e identità

Redazione Ansa

(di Paolo Petroni) (ANSA) - ROMA, 11 OTT - Persone, popoli sradicati, che perdono la patria per colpa della guerra: un bello spettacolo di gran forza e attualità, questo 'La tempesta continua', testo tratto dal racconto teatrale, tutto dialogato, 'Ancora tempesta' (ed. Quodlibet) del premio Nobel Peter Handke, ispirato alla storia della famiglia della madre, che sarà protagonista del racconto capolavoro 'Infelicità senza desideri' (ed. Guanda). Il lavoro, al Teatro Nuovo Ateneo di Roma, con attori ex allievi di Paolo Giuranna all'Accademia di Arte Drammatico d'Amico, ha l'adattamento, realizzazione e regia di Claudio Puglisi e punta proprio sullo spaesamento, la rabbia per aver perso tutto con la guerra e poi la pace che sancisce nuovi confini, dopo aver lottato per la propria patria, la propria identità e il proprio modo di vivere.
    In scena un uomo, direi lo stesso autore, perseguitato dalle storie dei suoi parenti, dalla madre agli zii e i nonni, dalla sua stessa storia di sradicamento, che non fanno che apparirgli in sogno e nei pensieri, protestando e chiedendo di essere lasciati stare, cui lui replica "lasciatemi voi in pace". La verità, come annunciato sin dal titolo è che, con quel passato e sempre per chiunque, persa la patria inevitabilmente la tempesta continua.
    Questa tempesta è quella che coinvolge tutto ancora durante la seconda guerra mondiale, con l'occupazione tedesca, dopo che, finita la prima guerra, la loro Carinzia fu annessa all'Austria.
    Si vivono quindi le discriminazioni, il divieto di usare la propria lingua e di passare al tedesco, con adeguamento anche dei propri cognomi, l'impoverimento con l'esercito tedesco che distrugge campi e frutteti, il vano, disperato tentativo di lotta partigiana (l'unica nata all'interno del III Reich) per un'indipendenza, mentre tre dei quattro figli muoiono e i genitori restano soli a soffrire la propria tragedia, declassata con beffardo dolore da uno dei giovani che afferma "noi soffriamo, ma soffrire non è tragico".
    In tutti suoi avi il protagonista, che si aggira un po' sperso e un po' incuriosito per il palcoscenico, vuoto, neutro, spazio del suo teatro mentale, riflette tutta la propria storia di figura amata e odiata dai suoi e straniera a se stessa, poiché figlio di una slovena e del nemico germanico.
    Attorno Puglisi crea i vari personaggi e li movimenta bene e con piccole invenzioni, oltre a creare precisi caratteri e identità per ognuno degli attori, cominciando con i costumi, ma anche col loro modo di porsi fisicamente e muoversi, forte probabilmente anche della sua formazione antroposofica e steineriana. Ecco allora questo nutrito gruppo di concretissimi fantasmi che da pacifici contadini si trovano trasformati in soldati, partigiani arrabbiati e ottimisti, morti o sopravvissuti avviliti, vinti.
    Uno spettacolo che tutto questo lo usa, con la giusta misura, per dare teatrale corpo alla parola, al testo bello e forte in cui coabitano spirito individuale e vento, tempesta della storia, diventando esemplari per questi nostri tempi di guerra, di patrie distrutte, di identità e storie negate, di ciò con cui ci si è formati e che deve lottare con quel che si pretende diventi. E il grande melo di cui si parla all'inizio e sotto cui ci si siede, ora non esiste più, con tutti gli altri alberi, incendiati, con i tronchi che scoppiano e simbolicamente vedono bruciare la propria linfa, per far spazio a suo tempo a una rimessa per armamenti e carrarmati. (ANSA).
   

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