Un coinvolgente, elegantissimo, spettacolo di bei ritmi, scanditi da dieci scene, questo 'Sarabanda' firmato da Roberto Andò e tratto dall'ultimo, omonimo film di Igmar Bergman, in cui compaiono, alternandosi a coppie, due di quattro personaggi nelle raffinate scene e luci pittoriche di Gianni Carluccio. Lo spettacolo, prodotto dallo Stabile di Napoli, quello di Genova e il Biondo di Palermo, sarà al Mercadante sino al 9 gennaio e poi impegnato in una lunga tournée, le cui tappe principali saranno dal 21 gennaio Firenze, quindi Genova dal 2 febbraio, il Piccolo di Milano dal 16, Palermo dal 16 marzo, Torino dal 6 aprile e Roma dal 27 maggio.
Si tratta di quella che viene definita l'opera testamento di Bergman, in cui i suoi temi attorno ai disastri delle relazioni famigliari trovano una incisività lieve e spietata nel dipingere disperazioni e solitudini umane, specie maschili, visto che l'unico spiraglio morale e vitale viene dalla donna, evidenziata qui spesso portandola in primo piano e cui dà momenti di verità e umanità Alvia Reale. E' lei, Marianne, che torna, dopo anni in cui si erano persi, a trovare il marito Johan (sono i due personaggi ripresi da ''Scene da un matrimonio'') nel luogo isolato su un lago dove si è ritirato insofferente del mondo e degli altri, a cominciare dal figlio musicista Henrik, vedovo che sta trascorrendo le vacanze sull'altra sponda del lago con la figlia Karin, promettente violoncellista.
E' Johan a dire che la pena di chi sarà condannato all'inferno sarà una copia della sua vita. E questo inferno, questa angoscia che sente troppo grande e straripante dal proprio corpo, è quel cui assistiamo, partendo dall'arrivo della donna inaspettata nella casa e un dialogo quasi distaccato. La situazione andrà accendendosi tragicamente di scena in scena segnate da un aprirsi verticale o orizzontale di sipari che ritagliano la visione creando primi piani, ma anche scandendo quasi come sipari brechtiani il gioco dei rapporti a coppie, esaltando la solitudine tragica di ognuno, l'incapacità i comunicare, il gioco di odi tra padre e figlio, o quello di amori malati e possessivi, ambigui e ferocemente ricattatori, del padre verso la figlia che solo lacerandosi riuscirà a seguire la propria strada artistica e esistenziale. Marianne cuce e legge tutto questo che pian piano mette tutti a nudo, urlanti e inermi. Lei che unica rappresenta uno spiraglio di tenerezza e dice di essere arrivata perché si sentiva chiamata dall'ex marito. I momenti centrali sono così il momento di disprezzo impietoso e provocatorio di Johan con Henrik, che lo ricambia con un odio feroce, in cui si evidenzia tutta la intima potenza espressiva di un attore come Renato Carpentieri e il piglio doloroso di Elia Schilton, poi sofferto nel confronto ultimo e terrore di ritrovarsi solo con se stesso, con la figlia, una Caterina Tieghi di forte presenza e intimo rovello, mentre la conclusione è affidata alla angosciosa disperazione di Johan che chiede aiuto a Marianne.
Questa generale resa dei conti vive di una sua intima violenza, ma non esplode mai veramente, tenuta su un registro che è in bilico tra la verità dei sentimenti e il loro valore esemplare, tutto visivamente appunto realizzato con luci e verismo da quadri ottocenteschi o di certe immagini desolanti di Edward Hopper. E in questo è la forza e il valore di questo spettacolo di Andò, inquietante sui conti che ognuno fa col proprio passato e con l'età che avanza, la vita che finisce e appare segnata dal disamore senza salvezza, da grida di aiuto compresa quella di Karin che deve iniziare la sua e vede la salvezza solo nell'arte e nel rapporto con gli altri. Così quel che vediamo lascia intendere molto più di quel che viene detto a parole, grazie anche alla qualità del gruppo di attori, come i personaggi colorati in scena quasi sempre a risaltare su un fondo nero, applauditissimi a lungo alla fine della prima.
(ANSA).
Sarabanda, Andò porta in scena la disperazione di Bergman
coinvolgente spettacolo raffinato e intenso su conti con la vita