Cultura

Melissa Leo, 'io regina dei club anni '70'

Capri, attrice Premio Oscar protagonista serie Sky dal 3 gennaio

Melissa Leo in un'immagine della serie I'm Dying Up Here, dal 3 gennaio su Sky Atlantic

Redazione Ansa

Los Angeles, anni '70, età dell'oro della 'stand up comedy': al centro di una squadra di ambiziosi comici c'è la bionda Goldie, proprietaria del celebre club che porta il suo nome, pugno di ferro e passione, interpretata dal premio Oscar Melissa Leo. Parte su Sky Atlantic il 3 gennaio "I'm Dying Up Here", nuova serie prodotta da Jim Carrey sul mondo ormai mitico che ha dato il successo a personaggi come David Letterman e Jay Leno. "Goldie è una donna complicata, un personaggio sfaccettato - racconta l'attrice a Capri, Hollywood dove è premiata per la sua interpretazione in "Novitiate" -. Tra poco partirà la lavorazione a Los Angeles di altre dieci puntate della seconda serie e sono molto felice di fare parte di questo gruppo, la produzione è targata Showtime ed è di grande qualità. Raccontiamo il privato di questi artisti e spesso l'umorismo lascia il posto al dramma. Grazie ad una scrittura molto bella scopriamo come la vita del comico che sale da solo sul palco possa essere durissima".

Nel cast della serie, basata sull'omonimo romanzo bestseller scritto da William Knoedelseder, anche Alfred Molina, Sebastian Stan, Robert Foster e Michael Angarano. Ma che sia la carismatica Goldie o "La donna più odiata d'America" (capo degli Attivisti Atei Americani nel film Netflix), una suora di clausura come in "Novitiate" (che porta in anteprima europea a Capri) o una madre di nove figli da Oscar in "The Fighter", Melissa Leo - secondo una classifica Usa tra le venti migliori attrici americane di sempre - è decisamente un monumento alla professionalità e all'indipendenza. "Mi chiedono spesso: ma hai problemi a trovare ruoli da donna di mezza età? - racconta la 57enne scattante signora newyorkese - ed immancabilmente rispondo: mi sembra che io stia lavorando! Così tante donne, anche in altre professioni. Non domandatecelo più!". Della sua performance in "Novitiate" è più che soddisfatta, ma non si vede in zona Oscar: "Il film ha delle imperfezioni, forse perché la regista (Margaret Betts, ndr) è debuttante, ci sono scene di sesso tra suore che possono risultare troppo forti. Ho vinto il mio primo Oscar (ma era stata già in nomination come migliore attrice per Frozen River, ndr) grazie a un autore come David O. Russell e ricordo che anche quell'anno ero stata premiata qui a Capri. Qualche somiglianza tra i due personaggi però c'è: non sono più giovani, hanno un ruolo collaterale ma 'muovono' la storia. E poi sono due esseri orribili, nessuna donna è così".

Famiglia di origine tedesca ("ma mi piace credere che il mio avo sia un immigrato dal Sud Italia"), un figlio trentenne, John Matthew Heard, che studia arte a Francoforte e che la accompagna a Capri, Leo tiene moltissimo al suo ruolo di membro dell'Academy. "Ho un mio metodo quando devo affrontare enormi pile di dvd. Mi tuffo nei film senza neppure sapere chi è il regista e da che paese viene. Sono felice che si sia ampliata la platea dei votanti anche per la scelta del film straniero. Avrei tantissima voglia di girare qui in Italia, ma non chiedetemi di fare nomi di registi perché non ne conosco, leggo poco anche i giornali". Uno però l'ha visto di sicuro. "Ci vogliono cinque donne per fare un uomo? Quella copertina di Time è un po' offensiva" ironizza, ma non troppo, sulla foto di gruppo scelta per celebrare il movimento "me too" come Person of the Year e parla senza ipocrisie del caso molestie che ha sconvolto il cinema americano. "Un problema molto complesso, bisogna misurare le parole per non essere equivocati. Ci sono state negli ultimi tempi tante donne coraggiose che si sono esposte, e mi sono chiesta perché non l'abbiano fatto prima. Poi mi sono data una risposta e le ho capite. In certe situazioni purtroppo ci siano trovate tutte. L'importante è dire sempre la verità".

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