“Ho lavorato con grande libertà dirigendo la serie tratta da L’ amica geniale: solo una volta la Ferrante mi ha fatto un po’ un cazziatone. E aveva ragione”: è ciò che ha confessato Daniele Luchetti durante la masterclass su Cinema e Letteratura, tenuta a Bucarest, il 13 marzo, all’università d’arte teatrale, Ion Luca Caragiale, di fronte ad una platea di studenti e alla presenza dell’ambasciatore Alfredo Durante Mangoni. E’ proprio a lui che si deve il ritorno del cinema italiano nella capitale romena, dopo diversi anni di assenza, con il festival Nuovo Cinema Italiano in Romania. Dopo un’apertura con il primo omaggio/ricordo di Monica Vitti in una manifestazione internazionale dopo la sua scomparsa (con la proiezione del film La supertestimone, del 1971, di Franco Giraldi), per quasi una settimana, in una sala di 400 posti, del Museo del Contadino - che è il cinema d’essai più importante di Bucarest - film dei fratelli D’Innocenzo e Marco Bellocchio, Giorgio Diritti ed Emma Dante, Leonardo di Costanzo e Pietro Castellitto, grazie alla collaborazione con Filmitalia, hanno visto quasi sempre il tutto esaurito, soprattutto due film di Daniele Luchetti (Momenti di trascurabile felicità, tratto da un libro di Francesco Piccolo, e Lacci, tratto da un romanzo di Domenico Starnone). Anche per questa ragione, l’esperienza del regista che si è spesso occupato di libri (dai tempi di Piccoli maestri di Meneghello e di La scuola, sempre di Starnone), è stata organizzata questa masterclass con un autore del cinema italiano contemporaneo che, grazie anche alla versione seriale dell’ Amica geniale, è di fatto uno dei più attenti e dotati cineasti capaci di affrontare fascino e insidie della trasformazione in immagine suoni di un testo scritto.
- Come ha affrontato la realizzazione in serie di uno dei libri italiani di maggiore successo internazionale di tutti i tempi?
Quando hai di fronte un libro hai due opzioni fondamentalmente: o la fedeltà o il tradimento: in entrambe i casi, cerchi di rispettare il motore interno del racconto. Altrimenti non ha senso sceglierlo. Nel caso dell’ Amica geniale, ci trovavamo di fronte un pubblico che conosceva i libri a memoria. In questo caso sarebbe stato assurdo tradire le aspettative del pubblico rispetto a intreccio e personaggi.
- Quale delle due scelte ha adottato per la Ferrante?
Ho scelto una strada nuova per seguire l’opzione della fedeltà. Ho assorbito la sceneggiatura di Saverio Costanzo, Laura Paolucci, Francesco Piccolo e della stessa Ferrante ma avendo sempre aperti i libri a fianco per capire cosa gli sceneggiatori avevano scelto, tolto, sintetizzato rispetto al testo originale. Ho reintegrato spesso cose che erano state tolte e dove c’erano nel testo pensieri e considerazioni che non avevano potuto essere integrati nello script, ho provato a sostituirli con delle scene inventate. Quando ho chiamato gli sceneggiatori per informarli che avevo inserito scene e blocchi nuovi nella sceneggiatura, ho scoperto che erano terrorizzati da questi cambiamenti: su di loro pesava l’incubo della Ferrante. A questo punto mi sono rivolto direttamente alla scrittrice, con la quale si comunica con un sistema di scambio di mail che non ti consente di risalire direttamente a lei, che mi ha restituito puntualmente dei feedback sulle variazioni o integrazioni che io volevo apportare alla sceneggiatura. Non l’ho fatto per compiacerla, ma per capire se la direzione che avevo preso era coerente con il processo artistico generale intrapreso dalla serie. Ed è proprio questo che mi ha consentito di essere libero, perché da un certo punto in poi ho compreso qual era il binario giusto sul quale dovevo muovermi.
- Qual è il problema più grande che ha incontrato in questo processo di lettura e creazione?
Il problema maggiore è stato senza dubbio quello della dicotomia maschile/femminile. Un esempio fra tutti: una volta, in una scena di sesso, ho cambiato un dettaglio relativo alla pratica sessuale che si raccontava. La protagonista, durante un incontro extra coniugale, fugge perché il suo partner le chiede di praticare un rapporto orale (nel libro). Lei si rifiuta e se ne va. A me non piaceva questo risvolto, perché è una scena che ho visto troppe volte sullo schermo, in tanti film. Ho cambiato la scena facendo sì che loro inizino a fare l’amore, lui inizia a baciarla e lei prende e se ne va. Improvvisamente mi sono ritrovato con una ribellione di tutte le donne su set che dicevano: ‘Stai sbagliando, perché nel libro c’è una osservazione che racconta in modo preciso e concreto il comportamento delle donne in situazioni del genere, e tu stai cambiando la scena perché sei un uomo’. Io ho risposto: ‘No, questa cosa la sto cambiando perché risulterebbe banale sullo schermo e vedrete che la Ferrante sarà contenta’. E invece la Ferrante mi ha fatto nero, per questo cambiamento.
- Le motivazioni?
La Ferrante mi ha scritto: nel libro lei non fa una cosa che non ha voglia di fare, nella tua versione lei se ne va per il senso di colpa generato dal piacere che prova. Aveva ragione lei: tipico cattolicesimo maschilista. Ma è stato l’unico errore blu di tutta la serie che ho diretto io. Gli unici 4 secondi che non amo di tutti gli episodi che ho diretto.
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