(di Paolo Petroni) (ANSA) - ROMA, 30 DIC - Per noi italiani la traduzione classica del 'Moby Dick' di Herman Melville è quella, con qualche inevitabile approssimazione, di un ventenne Cesare Pavese (Adelphi, pp. 588 - 14,00 euro), da confrontare con quella più moderna che esce oggi, fedelmente infedele nelle scelte linguistiche di Ottavio Fatica (Einaudi, pp.
Evidentemente la metafora della nave Pequod, col suo destino segnato e a bordo uomini di fedi e culture profondamente diverse, protagonisti nel bene e nel male, trascinati dalla pazzia lucida del captano Achab, in cerca di vendetta contro la balena bianca che gli portò via una gamba, in un'epopea tragica è anche una fra le opere più forti, intense, incisive e poetiche della letteratura moderna. Questo di Herman Melville è del resto un romanzo in cui, sullo sfondo, è sempre la Bibbia, con il senso calvinista di un Dio tremendo, e il narratore di tutta la storia si chiama Ismael ("l'uomo che si sa dotato di una superiorità non riconosciuta dal mondo: il primogenito di Abramo, un bastardo cacciato nel deserto, fra altri reietti, dove impara a sopravvivere esule per antonomasia", Elemire Zolla), anzi il libro inizia proprio con questi che dice: "Chiamatemi Ismael". Moby Dick è una grandiosa narrazione mitologica e metafisica che racconta, attraverso epiche avventure di mare, la vita come caccia e combattimento, l'eterna lotta dell'uomo contro il male, il suo bisogno e dovere di non tirarsi indietro, pur sapendo che la sconfitta sarà inevitabile.
Moby Dick è una gigantesca balena dalla "testa bianca, dalla fronte rugosa e dalla mandibola storta", che vive nei Mari del Sud coperta dagli arpioni dei cacciatori e di cui tutti i balenieri temono la malvagità eccezionale e la malizia. In quel "muro bianco" Achab vede il simbolo del male e delle cieche e brutali forze della natura. Per cercare di cacciarla e ucciderla ingaggia un gruppo di uomini, tra cui vi sono gli ufficiali Starbuck, Stubb e Flask, i ramponieri Tashtego e Deggu, e salpa dall'isola di Nantucket, nel Massachussets, a bordo della baleniera Pequod, oltre al marinaio Ismael, divenuto amico inseparabile del ramponiere polinesiano, ricoperto di tatuaggi, Queequeg.
La forza di queste pagine sta anche nell'essere quasi un trattato sulla caccia alle balene, con un Prologo composto di tante citazioni da ogni tipo di letteratura sul tema, dalla Bibbia a Milton, da Darwin a Rabelais, dai viaggi di Cook a canzoni popolari. Pagine di descrizioni, digressioni e riflessioni, che non distraggono ma anzi aiutano a dar spessore ai personaggi, alla vicenda principale avventurosa e, assieme, rappresentano quella maniacalità del dettaglio che risulta alla fine coinvolgente e rinforza la metafora generale, quella che ha fatto di questo libro un classico.
Lo stile di Melville è potente, ha un suo senso di implacabilità anche quando trova momenti di tenerezza e comprensione per le debolezze umane, acquista ritmo nei momenti cruciali, prende un andamento quasi da monologo teatrale in tante riflessioni, del capitano come dei suoi ufficiali. Il romanzo lo pubblicò nel 1851, dieci anni dopo il suo imbarco proprio su una baleniera, la Acushnet, e aver scritto altri libri di argomento marino, acquisendo esperienza e documentazione, leggendo di tutto, da Shakespeare (innanzi tutto 'Re Lear') al Coleridge della 'Ballata del vecchio marinaio' sino a Nathaniel Hawthorne, cui Moby Dick è dedicato con "la mia ammirazione per il suo genio". (ANSA).
Torna Moby Dick, l'uomo contro il male
Film e nuove traduzioni del classico romanzo di Melville