OMAR DI MONOPOLI, ''NELLA PERFIDA TERRA DI DIO'' (ADELPHI, pp. 206 - 18,00 euro).
Un Meridione difficile, violento e prigioniero della sua storia che lo ha lasciato in mano alla malavita, all'arrangiarsi secondo la legge del più forte, senza più alcuna possibilità di pietà se non che la giustizia e lo stato, cosa molto difficile, tornino a avere un ruolo, è quello che ci racconta Di Monopoli in questo suo romanzo forte e coinvolgente, dal verismo noir nel contrasto tra innocenza vilipesa e naturalezza della ferocia umana, quella, se si vuol fare un riferimento, cui ci hanno abituato le cronache che hanno insanguinato la Puglia in un tempo non lontano nella lotta per il controllo della droga tra Nuova camorra organizzata e Sacra corona unita.
Solo che qui la vicenda vera è quella di un rapporto padre e figli perso e da ricostruire, quello tra Tore della Cucchiara, latitante che dopo anni ricompare all'improvviso a Rocca Bardata, esemplare paese di fantasia della Puglia centrale e più profonda , per tornare a occuparsi di Gimmo, il più grande e rabbiosamente ferito che lo accusa di aver ammazzato la madre, e Michele, più piccolo e bisognoso di ritrovare un punto di riferimento dopo la scomparsa del vecchio nonno materno Nuzzu, una sorta di santone taumaturgo poi smascherato e caduto in disgrazia, con cui avevano convissuto per tutto quel tempo da orfani abbandonati a se stessi, dopo la scomparsa della madre Antonia e poi la fuga del padre.
Un rapporto tra presenza, memoria e ritorno, che deve misurarsi e cercar di riparare, per amore e una dignità mai sopita, a l'assenza di sentimenti, di ragione, di legalità e vita normale, il che può diventare qualcosa di esplosivo e comunque una resa dei conti, che ha fatto parlare qualcuno di western pugliese.
Paesi come Rocca Bardata, pur con una storia di cui si trovano le tracce nelle costruzioni del suo centro storico, ''si erano nell'ultimo trentennio spenti e come prosciugati: depredati dalla criminalità e vessati dalla cronica mancanza di lavoro'' per colpa di ''una classe politica sciagurata'' erano tornati ''a quell'isolamento arcano e selvaggio che caratterizzava quelle lande sin dai tempi dei Borboni''. Lì tutto è regolato e controllato dalla malavita organizzata e quando alcuni giovani cercano di far fuori il vecchio rappresentante locale di un grande boss, pian piano i rapporti di potere cambiano e emergono due figure, due amici sin da ragazzi che prendono tutto in mano, Tore e Capumalata, per buttarsi nell'affare dei rifiuti tossici dell'Italsider, finché qualcosa inciderà profondamente sul loro rapporto e resterà, forte della sua ferocia, uno solo a comandare. La chiave di tutto è una donna, Antonia, che spera, divenuta madre, nella possibilità di una vita diversa, rendendosi infine conto che ''Dio non c'è. Siamo soli. Viviamo come capita e poi tutto finisce. Non c'è altro''.
Una Puglia, un meridione esemplare, una povertà e disperazione che, con sapienza di costruzione dal bel ritmo e un alternarsi di presente e passato, nonostante l'eccesso di invenzioni e situazioni estreme (compresa una suora assassina) sono riflesso delle scelte linguistiche del narratore che, tra lingua alta e bassa, tra aulicità bibliche e gergo televisivo, con una scelta di immagini e aggettivi costruisce quella nera cappa morale che sembra soffocare tutti e tutto.
Il cupo meridione di Omar Di Monopoli
due fratelli e rapporto paterno che resiste a ricatti malavita