(di Lucia Balestrieri)
(ANSA) - ROMA, 18 AGO - BEPPE LOPEZ, MATTEO SALVATORE,
L'ULTIMO DEI CANTASTORIE (Aliberti Compagnia Editoriale, pp 266,
euro 18 ). "Ciao, Matteo, hai vissuto come un diavolo, ma
quando cantavi, cantavi come un angelo".
L'artista, nato nel 1925 in una delle famiglie più sventurate
di Apricena, ai piedi del Gargano, in provincia di Foggia, visse
un'infanzia e un'adolescenza di fame. Il padre era un facchino,
un uomo di fatica, e la madre si fingeva mutilata per chiedere
l'elemosina e raccattare qualche pezzo di pane da portare ai
figli. Matteo rimase analfabeta ma all'età di 7 anni, ebbe la
fortuna di conoscere un musicista cieco, un ultraottantenne
"portatore di serenate", Vincenzo Pizzicoli, che gli insegnò a
suonare la chitarra e gli trasmise - questa fu la prima versione
di Salvatore - un patrimonio di 150 canti popolari pugliesi.
Con la moglie Ida Signoriello e figli, Salvatore si trasferì
poi per cercare fortuna a Roma, dove viveva in una baracca e
suonava nelle trattorie, oltre che fare il posteggiatore
abusivo. In un ristorante di Trastevere viene scoperto dal
reuccio della canzone italiana, Claudio Villa, che gli apre le
porte della Rai e dei giri che contano. La notorietà arriva
negli anni '60 con la canzone "Lu suprastante", racconto della
sopraffazione e dello sfruttamento dei bracciati pugliesi. È in
questo periodo che Matteo abbandona moglie e figli per andare a
convivere con una sua corista, Adriana Doriani. La loro storia
d'amore è decisiva - spiega Lopez - nella vita e nell'arte
dell'Omero di Apricena: i due "non hanno condiviso solo amore e
sesso, casa e soldi, problemi e felicità. Hanno condiviso tutto.
Lei ha aiutato lui, perfetto analfabeta, a cominciare a
distinguere una lettera dall'altra e persino a scribacchiare
qualcosa. Insieme, finalmente, hanno preso forma grafica i
'centocinquanta canti' che Matteo aveva appreso dal suo maestro
cieco".
Il 1973 è l'anno del cofanetto con quattro Lp e ben
cinquantasei esecuzioni: "Le quattro stagioni del Gargano", di
cui 23 vengono firmate a quattro mani, da Matteo e Adriana.
Raccontano la fame, la povertà, lo sfruttamento, i braccianti,
il lavoro, l'amore, l'allegria, la religione, i giochi, la
morte, i proverbi, la ferocia dei prepotenti. Un capolavoro
assoluto, un successo travolgente, la santificazione definitiva
del "più grande cantastorie italiano", tanto che Matteo
Salvatore, assaporato il gusto della gloria, abbandona la
vecchia versione dei canti imparati dalla tradizione e sostiene,
d'ora in poi, che le liriche sono farina del suo sacco.
Il 26 agosto del 1973, a San Marino, avviene però anche la
tragedia che cambierà tutto. Poche ore prima di un concerto,
Matteo, padre-padrone nella coppia, ammazza Adriana,
probabilmente accecato dalla gelosia per lei e forse anche da un
senso di inferiorità intellettuale. Lopez ricostruisce la crisi
dei due, il delitto, le fasi del processo, i tentativi di
depistaggio da parte del cantautore. Alla fine Matteo Salvatore
è condannato a 7 anni di carcere ma ne sconta solo 4. Non
riesce però più a riprendersi. Vive da vagabondo squattrinato.
Canta nei camping e nelle sagre estive pugliesi. Per anni è
tenuto ai margini, se non dimenticato. Una storia, la sua,
"sempre in bilico fra redenzione e dannazione".
Ma forse - conclude Lopez - proprio in ciò sta "la sua
persistente grandezza: in questa profonda contraddizione fra
l'uomo e l'artista, fra la sua vita privata e la sua arte, oltre
che nella sua irriducibilità, nella sua imprendibilità. Così
forse lui si è difeso per tutta la vita da un mondo che non è
mai riuscito a capire o anche solo ad accettare nella sua
complessità, rimanendo il solo, l'unico vero cantante popolare
italiano, non cellofanato dalla consapevolezza o dalla ricerca
culturale né dall'industria discografica e dello
spettacolo".(ANSA).
Matteo Salvatore, l'ultimo cantastorie
Beppe Lopez scrive una biografia-giallo sull'artista pugliese