SASHA NASPINI, ''NIVES'' (E/O, pp. 132 - 15,oo euro).
Il nuovo romanzo di Sasha Naspini è come sempre una sorpresa e pare ogni volta le sue opere nascano da un desiderio di sperimentare, storie, lingua e strutture. Questa volta siamo davanti a una vicenda che si svolge per grandissima parte in forma di dialogo, quasi un testo teatrale, un gioco non facile, ma in cui subito lo scrittore mostra la sua abilità di scrittura che, frutto di un lavoro paziente, pare quasi naturale. E il tema è sempre l'amarezza della sua Maremma, la rancorosità coltivata dalla gente nei paesi chiusi e che lega passato e presente. La vicenda di Nives e Loriano, i due protagonisti che vanno per i 70 anni, potrebbe essere una costola di quel piccolo capolavoro di Naspini che è il romanzo corale ''Le case del malcontento'', summa della sua poetica.
Un romano sull'amore questo, sugli amori malvissuti o che non si sono vissuti, sulla rabbia per quel che non è stato e ha segnato dentro una vita, ma molto diverso dalla storia d'amore impossibile da vivere di ''Ossigeno'', a cominciare dalla lingua, che è quell'italiano di Naspini che come in trasparenza, per alcune parole, nei ritmi e qualche modo di dire, si vela di toscano, di maremmano, dando più verità alla storia, ai personaggi.
Come questo scrittore ama, anche se saprebbe coinvolgere in ben altra maniera, l'apertura è ad effetto e splatter, con la morte del marito di Nives mentre dà da mangiare ai maiali, ma poi finisce lì e nasce una storia di solitudine, anzi di solitudini interiori e di sensi di colpa, perché ognuno ha dentro, nascosto il suo nodo che lo stringe, ognuno ha, come vien detto, la sua Rosa, la fanciulla morta suicida e che sta sulla coscienza di Renato Pagliuchi, il bello e seduttore seriale del paese che la usò e la illuse.
Vedova, sola nel suo grande podere di Poggio Corbello, che trova consolazione nella compagnia di una gallina, la più sfortunata del pollaio, a Nives ''Giacomina le serviva da cavalcavia tra la morte del marito e il contorno di sé ridisegnato nella solitudine''. Cerca insomma di sopravvivere con una figlia lontana in tutti i sensi, che vive all'estero e non ha amore per la campagna, finché una sera, davanti a uno spot tv, la gallina resta ipnotizzata, immobile insensibile come una statua. C'è poco da fare e la donna chiama Loriano Bottai, anche se è oramai sera tardi, il veterinario amico ma col vizio del bere, per chiedergli cosa fare. Ma la telefonata fa presto a prendere una piega strana, con lei che lo punzecchia e tira fuori vecchie storie della di lui moglie Donatella, perché scopriremo che i due hanno più di un conto in sospeso da almeno trent'anni. Pian piano, mentre la notte avanza, ecco che tutto verrà a galla (''a guardare il nero finisce che il nero guarda te''), tra vari colpi di scena, alcuni forse prevedibili, l'ultimo certamente meno. A coinvolgere è comunque la scrittura, il ritmo del dialogo, il suo procedere per divagazioni, provocazioni, vite di altri rese vive con pochi accenni, e poi tornare al punto per farlo esplodere in una reciproca confessione che sembra un ritrovare una tenerezza perduta, di questa donna rabbiosamente umorale e quest'uomo impotente e più razionale. Sino alla fine, con Nives tirati i conti come una liberazione, con la sua praticità contadina che riprende subito il sopravvento sul dramma, quando Giacomina ritorna a vivere e lascia un uovo sul divano: ''La prima cosa che pensò fu di farselo subito al tegamino''. (ANSA).
Naspini, la lunga telefonata di Nives
l'amarezza della Maremma in un bel romanzo di amori e rancori