GIANNI BIONDILLO, 'QUELLO CHE NOI NON SIAMO' (GUANDA, pp. 484 - 22,00 euro)
"Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo": tra questi celebri versi di Montale messi a epigrafe del libro e altri di Pascarella ("Perché la stora pe' l'antri è storia / pe' nojantri so' fatti de famija), c'è tutto il progetto e l'arte di aver saputo trasformare passioni e ideali artistici in un romanzo davvero coinvolgente, raccontando sogni e delusioni della generazione di architetti razionalisti che cercarono di rinnovare l'Italia, seguendoli tra arte e vita dai loro vent'anni alla nascita del fascismo sino alla Liberazione.
La vita più romanzesca è quella di Giuseppe Pagano, nato nell'Istria austroungarica che si fa irredentista, volontario a 19 anni nell'esercito italiano. Ferito tre volte, decorato e poi prigioniero a Theresienstadt, da dove evade. Nel 1920 sarà a Fiume con D'Annunzio, credendo nella novità di quell'esperimento sociale e pensando che per cambiare tutto ci sia bisogno di un capo carismatico. Da artista è così anche fascista, fonda i fasci della sua cittadina natale e diventa insegnante alla Scuola di Mistica. Nominato direttore della rivista Casabella, ne fa, per molti anni e nel mutare delle cose, luogo di dibattito libero ospitando anche antifascisti, a cominciare da Edoardo Persico, così da essere sempre sotto accusa.
Intellettuale di qualità, combatte senza mezzi termini, in Piacentini e il suo progetto dell'E42, la monumentalità retorica fascista arrivando, al funerale di un giovane artista morto al fronte, a commemorarlo difendendone la fede nel nuovo con parole di fuoco e grande scandalo.
È il momento della presa di coscienza: si dimette dai suoi incarichi e prende contatti con organizzazioni antifasciste.
Arrestato nel 1943, è incarcerato a Brescia, da dove evade.
Torna a Milano e all'attività clandestina. Riarrestato e torturato dalla Banda Koch, viene spedito a Mauthausen e, fatto lavorare in miniera, vi muore.
La forza di Biondillo, noto scrittore di gialli ma architetto e autore di saggi sull'idea di metropoli e sulle periferie milanesi, è nella passione, nella partecipazione che mette nel costruire un vero racconto storico corale. Mostra così i sogni e l'idea del senso e utilità del proprio mestiere che unisce quei giovani e li contrappone al passato, ma anche ne rivela le vite private, prima spensierate, poi spesso complicate, magari difficili, persino avventurose e talvolta tragiche nel contesto di quegli anni, così da proporci un vero e proprio romanzo, in cui ovviamente dialoghi e momenti quotidiani sono ricostruiti, ma partendo sempre da una base reale e documentatissima senza travisarla e dandole verità.
Così conosciamo la nascita della voglia di nuove forme essenziali che esprimano una nuova società ispirate a quel che si sta facendo in Europa. Quei giovani combattono una guerra impari contro l'accademismo centralista e romano, senza rendersi conto che, mentre Mussolini li lodava, sosteneva un'architettura retorica a lui più consona, così che poi, uno dopo l'altro, arriveranno a prendere coscienza che la loro apertura e visione artistica è implicitamente antifascista e libertaria e (grazie anche all'orrore delle leggi razziali) divenire antifascisti.
Tra i protagonisti spicca Giuseppe Terragni, celebre per la Casa del fascio a Como, già autore a 24 anni di un colpo di mano per realizzare il Novocomum, case d'abitazione, uno dei primi esempi di razionalismo, che per un caso non verrà subito abbattuto dalla scandalizzata amministrazione fascista. A lui non dispiaceva essere fascista, non avendo mai conosciuto altro e sapendo che un architetto ha bisogno di una committenza e quindi deve sapersi rapportare col potere. Crea il gruppo dei 7, scrive articoli programmatici, fonda la rivista Quadrante e lavora a diversi altri progetti sino a quando, nel 1941, viene richiamato e prende parte alla campagna di Russia, da dove tornerà segnato nel fisico e la mente, senza più riprendersi sino alla morte a 39 anni nel 1943.
Giovani che venivano da tutta Italia, tutti figli del Politecnico come anche Figini, Pollini, Bottoni, Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers, e anche donne come Carla Badiali e Maria Albini di cui conosciamo opere e vite che a Milano, nelle trattorie, nei salotti, alle mostre, incrociavano poeti, critici, artisti. E Biondillo ci rivela in questo suo romanzo come anche gli architetti, oltre ai letterati di cui si sa da sempre tutto, siano stati artefici del rinnovamento del nostro paese.