Cultura

L'avventura di restare di Elio Pecora

Versi di resistenza, da leggere per ritrovare armonia col mondo

Redazione Ansa

Paolo Petroni (ANSA) - ROMA, 21 MAR - ELIO PECORA, L'AVVENTURA DI RESTARE (CROCETTI, pp. 240 - 16,00 euro) - Si intitolava 'Quasi un diario' un libro recente in prosa di Elio Pecora, in cui quel quasi stava per il non detto, quel silenzio ''che è più del dicibile'', mentre l'ultima sua raccolta poetica è stata 'Rifrazioni', ovvero tentativo di cogliere nel gioco di luce e buio, di verbo e assenza, proprio quelle frammentarie rifrazioni in cui può baluginare un po' di verità. Ora che esce questa nuova silloge è impossibile non pensare che tutta la poesia sempre, ma quella di Pecora in particolare ha l'essenza di un diario, nel cogliere quelle rifrazioni dall'intimo di un proprio punto di vista personale, che proprio per la sua profondità si fa esemplare, universale di quel teatrino del mondo in cui abbiamo avuto 'L'avventura di restare'.
    Un titolo questo che ci pare portare con sé un senso di essere e resistere al passare del tempo, al mutare delle cose, davanti all'eterno riproporsi di natura e stagioni cui Pecora presta sempre molta attenzione, in cui cerca e trova un qualche senso, un sentire non contingente: valga da esempio la poesia scelta come ultima, a chiudere il volume, con quel tramonto a Ostia da cui ''Torniamo ebbri / stupiti / dell'immensa festa./ Non valgono parole / in questo restare./ Solo il dono / ulteriore / di questo tornare''.
    La persona, l'umanità di Pecora, con la sua dolcezza, sensibilità, affettività nelle relazioni si ritrova nel suo modo di far poesia, in quel suo Io poetico che non rappresenta mai un punto di vista chiuso, limitato o personalistico, ma diventa una sorta di Noi, di parte integrante di una visione, un disegno, un essere generale. Con la forza di non compiangersi, di non lamentarsi anche nel trasferirci una dolore profondo, che appunto si lenisce e si apre nel consistere e la fortuna della vita, nella gioia dell'avventura del respirare. Respirare la poesia che è aria vitale. Poesia quindi da leggere per ritrovare una possibile armonia col mondo.
    Un essere che è suo da sempre, come è chiaro in questa raccolta con componimenti che vanno dal 1970 a oggi, ma che si è evidentemente maturato e appianato col passare del tempo, avendo Pecora oggi 87 anni, nato a Sant'Arsenio (Salerno) nel 1936 e trasferito a Roma dal 1966. Una vita in cui ha pubblicato libri di poesia (da 'La chiave di vetro' del 1970 a 'Rifrazioni' del 2018; di prosa (dal romanzo 'Estate' del 1981 ai ricordi di 'Il libro degli amici' del 2017), di saggistica, testi teatrali, poesie per l'infanzia. Dirige la rivista internazionale ''Poeti e Poesia'', ha curato antologie di poesia italiana contemporanea e raccolte di fiabe popolari. Ha collaborato a lungo per la critica letteraria a quotidiani, settimanali, riviste e programmi culturali Rai.
    Mettendo insieme versi di molti anni fa e altri odierni ecco che nasce naturalmente un rapporto e una continuità col passato, che è poi quello che il poeta intesse coi classici, con poeti antichi in cui ritrova l'eleganza e il dramma, di cui rivivono in lui echi ''fra pena e allegria, fra sonorità della tradizione e modernità degli orizzonti'', come scrive nella sua introduzione critica Daniela Marcheschi, facendo una serie di nomi che vano da Euripide a Auden, dai latini a Leopardi, a Saba e così via. Tutto con una serenità, un'accettazione che sono anche un bisogno estetico, di armonia, magari risolta nella rima e nel ritmo della metrica, che attutisce anche la coscienza di quanto il poeta sia sempre solo, da quando nel 1970 pensava ''sono libero, ma questa libertà / è un vuoto, una solitudine./ Eppure ora so, proprio per questo vuoto / per questa libertà solitaria, io ho il luogo della scelta./ Io sono qui'', fino all' 'Autoritratto' del 2011: ''Naso a vela nel vento, piedi sciolti, / e nel frastuono modula parole,/ socchiude porte dentro lo sgomento'', cercando 'Accordature', come si intitolano gli ultimi versi, alla ricerca di un approdo, al confronto con la fine: ''sarà lasciare / questi banchi di sabbia / in cui affondammo i piedi''. (ANSA).
   

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