SALMAN RUSHDIE, 'COLTELLO. MEDITAZIONI DOPO UN TENTATO ASSASSINIO' (Traduzione di Gianni Pannofino.
Un uomo vestito di nero che gli corre incontro con un coltello in mano e pochi istanti, di cui ha l'impressione di ricordare quasi tutto ma non il dolore, che gli hanno cambiato la vita per sempre. Un coltello reale, e nello stesso tempo simbolico, la violenza che squarcia irrimediabilmente la carne di Salman Rushdie ma non ne incrina la lucidità. Così nel lentissimo tornare alla normalità - non una guarigione, perché i segni rimarranno per sempre, come il buio imposto dalla perdita di un occhio - prima scompare poi riaffiora la voglia di scrivere che gli permette di raccontare tutto, momento dopo momento, mettendo in scena come non mai il suo privato, il calvario fisico, i suoi sentimenti, la sua forza intellettuale, la sua potenza di narratore.
Quel venerdì 12 agosto 2022 alle undici meno un quarto, quando, racconta, "sono stato aggredito e quasi ucciso da un giovane armato di coltello", è solo il centro di una spirale intorno a cui ruota la sua vita intellettuale ed emotiva. Ma in queste pagine Salman Rushdie, come premessa, ci racconta la sua storia d'amore, il colpo di fulmine da film hollywoodiano (con tanto di ridicolo scontro con una vetrata da confusione amorosa) e il conseguente matrimonio con Eliza, ovvero Rachel Eliza Griffiths, poetessa, fotografa, scrittrice afroamericana incontrata cinque anni prima e mai più abbandonata per un istante. Una storia tenuta gelosamente nascosta, protetta, al punto che quando ci fu l'attentato tutti i media si chiesero chi fosse quella donna che non lo lasciava mai e che Martin Amis aveva indicato come la moglie di Rushdie.
Nulla è più come prima e lo scrittore in Coltello squarcia anche il velo della privacy - tutta la convalescenza è stata ripresa anche in video - per mettere nel racconto tutto il senso di felicità che lo attraversava nel momento in cui la lama è penetrata nella sua mano, nel suo occhio, nella sua gola, e quella felicità era merito di Eliza. "Che cosa avevo combinato per cinquant'anni? Avevo cercato di dire: credo che l'arte sia un sogno a occhi aperti. E che l'immaginazione possa costruire un ponte tra sogni e realtà per permetterci di comprendere il reale osservandolo da prospettive inedite, attraverso la lente dell'irreale", scrive Rushdie. E questo libro è il senso massimo di questo intreccio, perché l'autore dei Versetti satanici è stato colpito, proprio nel momento e nel luogo - era ad una conferenza sul free speech a Chautauqua nello stato di New York - in cui si sentiva più libero, dopo anni di timori, di sotterfugi, di clandestinità. È il senso della libertà il nodo, e il suo valore profondamente politico in questo momento della storia dell'umanità in cui nessuno, in nessun luogo, si può considerare al sicuro. La libertà di parola, scrive, "deve essere data per scontata. Se si ha paura delle possibili conseguenze di ciò che si dice, non si è liberi". E lui in queste pagine emozionanti è libero come non mai, perché mette a nudo senza veli, senza remore, la sua umanità. "Sono andato a trovare Paul Auster - racconta - nella sua casa di Park Slope, a Brooklyn. Che anno aveva passato... Prima gli era morta la nipote, poi suo figlio. Poi, come se non bastasse, il cancro. Aveva cominciato la chemioterapia e gli erano caduti i capelli", racconta Rushdie consapevole della vicina fine del suo amico in uno struggente omaggio a chi è morto (o quasi) mentre scriveva e lui invece così duramente colpito è ancora qui con il dovere di raccontare.
Al Salone del libro di Torino Salman Rushdie incontrerà il pubblico venerdì 10 maggio alle 18,30, in dialogo con Roberto Saviano. (ANSA).
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