EMANUELA ANECHOUM. ''TANGERINN'' (E/O, PP.
È in fondo un invito a chi si trova a doversene andare a non farlo scappando, che si può fare in tanti modi, sempre rinunciando a se stessi, invece di trovarsi e imparare a saper scegliere. Mina è scappata a Londra dove si pensa libera ma si riduce psicologicamente e materialmente dipendente dalla affascinante figura della bella Liz, digital activist di successo, di potere, generosa e ricca. Una libertà che scopre tutti i suoi limiti al primo incontro confronto con la sorella Aisha ("La libertà non esiste, disse. Esiste solo scegliere le proprie gabbie"), rimasta nel paesino mafioso del sud Italia, in Calabria, dove anche Mina è cresciuta, che non ha mai amato e dove ora torna per i funerali del padre, che vi aveva aperto il bar Tangerinn sulla spiaggia frequentato in maggior parte da immigrati.
Un ritorno che si raddoppia, dopo il primo subito doloroso e insofferente, tanto che tornerà a Londra, ma per maturarne però rapida l'abbandono. È allora che Mina si riscoprirà a sorpresa nella vita di ogni giorno come non se ne fosse mai andata, e la narra in parallelo al bisogno inevitabile di affrontare anche il passato, ricordando e ricostruendo come in dialogo con la presenza ingombrante della figura paterna. Attorno i parenti, tutte donne, che si sentono orfane e isolate nel paese dove sono malviste per le nozze col marocchino immigrato della madre Berta, egoista e capricciosa, già lei figlia di una madre nubile, con un passato di illusoria violenza durante gli anni di piombo, quando la concepì casualmente. Oggi la intenerisce, anziana e triste, specie quando si sente chiedere ''a un tratto, quasi distrattamente, posso essere di nuovo 'mamma'?''. A Mina che tra l'altro, nata più scura di sua sorella, per questo si sente paranoicamente giudicata dagli altri.
Ci sono quindi per lei molte cose con cui far pace e un intreccio su più piani di varie storie, presenti e passate. C'è il vecchio amico del padre Rashid, che quando alla fine Mina si recherà in Marocco incontra a Tangeri e le parla di un padre in cui riconosce il proprio stesso disagio. Lui ricorda come accusasse l'amico di volersene andarsene perché irrequieto e sempre insoddisfatto alla ricerca di qualcosa di impossibile da trovare, rivelandogli che ''il segreto è accontentarsi''.
Soprattutto c'è la sorella, che la consola: ''Nessuno ci ha insegnato a chiederci cosa vogliamo davvero, ma solo cosa dovremmo desiderare. Non ci siamo mai sentite abbastanza al sicuro da corre dei rischi, rischi veri intendo, per i nostri sogni''. Aisha, cui allora lei offre di restare per un po' a occuparsi del bar, per darle l'occasione di reiscriversi all'università, visto che quando partì per Londra la lasciò sola, costretta a lavorare e occuparsi del Tangerinn. Ci sono i vari immigrati, molti di passaggio, e tra loro Nazim che collabora con Medici senza frontiere ed è un turco che le piace ma non vuole legarsi, cosa che a lei va benissimo.
Volgendosi indietro, ma guardando in avanti, sono in fondo la scoperta degli affetti e di quel che si ha e non si capiva a dare un senso a tutto in questo ottimo romanzo, abile di scrittura e costruzione, capace di vari registri, frutto di fine sensibilità, tormentato e risolto nell'affrontare i temi dello sradicamento, delle diversità, dei contrasti religiosi, sapendo cogliere umori e contraddizioni, dolori e allegria di tutti i personaggi, coinvolgendo il lettore, e mostrando una maturità che non sembra da opera prima. (ANSA).
Tangerinn di Emanuela Anechoum
Romanzo di sradicamenti cui è andato il Premio Città di Lugnano