(di Paolo Petroni)
MILAN KUNDERA, ''PRAGA, POESIA CHE SCOMPARE'' (ADELPHI, pp. 102 - 12,00 euro - Traduzione di Giorgio Pinotti) - Si chiama Josef il protagonista de ''Le vicende del buon soldato Svejk'' di Jaroslav Hasek, proprio come il Josef K.
Attraverso i due personaggi e le loro storie, figlie della stessa società e dello stesso tempo, capiamo che ''le motivazioni interne non hanno più un grande peso in un mondo dove le determinazioni esterne dominano sempre di più l'uomo'' e non a caso i nostri due autori lanciano il loro ''basta psicologia!'' . Questo mentre altrove Proust e Joyce ''spingono all'estremo limite il virtuosismo introspettivo'' e la diversa e più moderna estetica praghese del romanzo verrà, per Kundera, messa a fuoco venti o trenta anni dopo, con Sartre che parla di ''concentrarsi non già su dei caratteri ma sul delle situazioni''. Praga, ricorda Kundera e lo dimostra col suo racconto, era allora un centro culturale di altissimo livello, al centro dell'Europa, specie dopo la decadenza di Vienna a seguito della prima guerra mondiale. Ci sono altri scrittori come l'amico Max Brod e Karel Capek, ma anche Franz Werfel, Oskar Baum, un musicista come Leos Janacek, che ''prima di Messiaen, prima di Varè è posseduto dalla Musica Concreta'', dai suoni della natura e dai rumori della gente e della città, e pittori come Willi Novak, Alfons Mucha, Frantisek Kupka che ''lasceranno una forte impronta sulla pittura francese'' e, dal 1925, il gruppo di studiosi e linguisti, da Roman Jakobson a Jan Mukarovsky, che creano il Circolo di Praga e inventano la parola 'strutturalismo'.
Kundera ricostruisce indaga, specie i due scrittori più Capek e la musica di Janacek, per dimostrare quanta poesia ci fosse allora nella sua città e come la sovietizzazione della Cecoslovacchia e poi l'invasione del 1968, mentre il paese sembrava aver ritrovato se stesso, lo abbia ridotto '' un foglio di carta in fiamme / dove scompare la poesia'', citando due versi del poeta Vitezslav Nezval, da cui deriva il titolo di questo saggio lucido e accorato. Allora unendo Nezval al suo opposto Vladimir Holan, trova che il modernismo ceco, ancora una volta, intenda ''la magia dell'immaginazione non come surrogato della vita, ma come Ebrezza del Concreto''.
Questa attenzione al concreto mostra. sia in Kafka che in Hasek, l'uomo alle prese con una società il cui senso è nel meccanismo che condiziona violenta, la burocrazia pe Jopsef K, l'apparato militare per Svejk, cui si aggiunge la visione di un totalitarismo fantastico in Capek, autore della pièce 'R.U.R.' in cui nasce la parola e la figura moderna del 'robot'. I due personaggi sono comunque figure eversive, anche se in modo diverso, il promo cercando di dare un senso a ciò che non ce lo ha più e quindi si perde, il secondo perché parte già con l'inconscia percezione che sia del tutto inutile cercare un senso e affronta la guerra con la sua ingenuità imbecille e distruttiva nell'adeguarsi con entusiasmo a tutto, alla lettera, mettendo quindi tutto in crisi e evidenziandone il ridicolo e il comico. Janacek poi, con la sua ultima opera, ''Da una casa di morti'', ispirata a Dostoevskij e ambientata in campo di prigionia siberiano, burocratica fabbrica di morte, completa il quadro di una visione del futuro dell'Europa che matura a Praga in quegli anni.
L'altra parte di questo libretto, che riunisce due testi di metà anni Ottanta ambedue usciti allora sulla rivista ''Le débat'', è la riproposta di ''Ottantanove parole'', il dizionario personale del mondo reale e letterario di Kundera, che vanno da Aforisma a Volgarità e, in questi due estremi, mostra già quasi l'indicazione di un percorso. (ANSA).