HAN KANG, 'NON DICO ADDIO' (Adelphi, pag, 265, euro 20,00. Traduzione di Lia Iovenitti)
È una lingua che sembra una lama quella di Han Kang su cui la narrazione scorre lentamente come la lumaca che la scrittrice evoca nelle prime pagine di questo Non Dico Addio, romanzo in uscita per Adelphi il 5 novembre giusto in tempo per scrivere nella breve biografia che l'autrice sudcoreana ha appena preso il premio Nobel, tre settimane fa, l'11 ottobre. Mentre la cerimonia di consegna alla scrittrice, insignita "per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana" deve ancora avvenire, e sarà il 10 dicembre a Stoccolma. E in questo Non Dico Addio i temi della sua poetica tornano con forza ed efficacia.
"Allora ho pensato che quel mare livido che saliva, strappando le ossa alle loro sepolture - scrive -, probabilmente non c'entrava nulla con le vittime del massacro e il periodo successivo. Poteva anche trattarsi di un semplice presagio personale. Forse quel paesaggio di tombe sommerse e lapidi silenziose mi stava rivelando cosa aspettarmi dalla mia vita in futuro. Ovvero precisamente adesso". Inizia con un oscuro presagio che irrompe nella quotidianità questo bellissimo romanzo apparso per la prima volta nel 2021 ed ora tradotto nell'edizione italiana da Lia Iovenitti, che con Han Kang ha una consolidata consuetudine.
"Be', io intanto sto qui e vado avanti" dice l'amica In-seon fotografa e artista ora sul letto d'ospedale con le dita mozzate, sottoposta ad una terribile tortura per resistere e riprendere l'uso della mano. È il senso della volontà e della determinazione che la protagonista Gyeong-ha cerca per rialzarsi da quel pavimento freddo dove si trova, travolta dall'astenia e dai disturbi alimentari in un libro che è tutto impastato di determinanti, quanto poetiche, metafore. Cercare un senso nelle persone che ancora rimangono dopo una lunga cerimonia di addii. Forse le più inaspettate, quelle che non ci verrebbero in mente se dovessimo chiedergli di occuparsi del nostro testamento.
L'addio, il distacco, la perdita vera o metaforica è il filo rosso di questo romanzo che sembra scarnificare la realtà mirando al senso delle cose. E la lingua di Han Kang è sempre come un'elegantissima danza pure nella crudezza delle storie a cui l'autrice de La Vegetariana ha abituato i suoi lettori. Sullo sfondo di Non Dico Addio il massacro di Jeju-do che portò ad un vero e proprio genocidio della popolazione dell'isola sudcoreana tra l'aprile del 1948 e il maggio dell'anno successivo con l'obiettivo di reprimere la presunta rivolta comunista, massacrando indistintamente uomini donne e bambini. Il massacro aleggia come un sogno in queste pagine in cui il confine tra la vita e la morte è labile, spesso ondeggiante come quei fiocchi di neve ricorrenti che rendono la realtà simile ad una visione con la loro brillantezza quasi allucinatoria. Ma nemmeno affidarsi al sogno aiuta: "I sogni sono terrificanti", confessa la protagonista Gyeong-ha. "Anzi no umilianti. Perché svelano cose su te stessa delle quali non avevi alcuna consapevolezza". E aggiunge: "Che strana notte. Penso. Sto confessando qualcosa che non avevo mai raccontato ad anima viva". Ma forse anche quell'anima non è più viva.