(di Massimo Lomonaco)
(ANSA) - ROMA, 04 NOV - GABRIELE TERGIT, 'BERLINO, ADDIO'
(Einaudi; pp.755, 23 euro) Leggere Tergit (al secolo Elise
Hirschmann, 1894-1982)è avere uno spaccato della dell'Europa
della parte iniziale del Novecento. In particolare della
comunità ebraica tedesca prima che venisse spazzata via dalla
Shoah. Tergit è una scrittrice superba, attentissima alle
persone, alle atmosfere, al quadro sociale di un'epoca, ma anche
alle manie e alle illusioni di gente quasi mai consapevole di
essere sull'orlo dell'abisso. E forse non potev essere
altrimenti. Già nel libro 'Gli Effinger', Tergit - che era
giornalista del 'Berliner Tageblatt'- aveva raccontato la saga
di una famiglia che dal nulla crea una grande fortuna. Un
potente ritratto - da prima della Grande Guerra - di uomini
determinati a costruirsi un futuro lontano dal ghetto ma
destinato, anche in questo caso, ad infrangersi contro la
persecuzione anti ebraica. Se per qualcuno quel romanzo-fiume
richiama i Buddenbrook di Thomas Mann, per altri è più vicino ai
gradi scrittori dell'Ottocento. In 'Berlino, addio' (la virgola
impone un giusto spazio emotivo) è invece la volta di 5 famiglie
della capitale tedesca (da est a ovest, all'alta società). Tutte
alle prese con il progressivo avanzare del nazismo in uno
stillicidio di fatti e notizie sempre peggiori e con quanto
porterà poi il dopoguerra. Il romanzo in lingua originale è
intitolato 'So war's eben' (letteralmente, 'Le cose andavano
proprio così') e, secondo la sua autrice, doveva avere lo scopo
di non disperdere la memoria. "Quel che mi auguro - disse in
seguito, come citato nella postfazione di Nicole Henneberg - è
che tutti gli ebrei tedeschi dicano: così eravamo, è così che
abbiamo vissuto tra il 1878 e il 1939. E che mettano questo
libro nelle mani dei figli con le parole: affinchè sappiate come
era". E non è un caso che il romanzo si apra con un tè per
signore della borghesia di fine Ottocento nella calma imperiale
tedesca. Prima che all'orizzonte si affacci l'iceberg che
travolgerà tutto, come accadde per il Titanic considerato
inaffondabile. Una descrizione così precisa, e al tempo stesso
sofisticata, da poter percepire quasi il tintinnio delle tazze o
lo scivolare dello chiffon dei vestiti delle dame. 'Berlino,
addio' è un romanzo altamente evocativo, talmente accurato da
sfidare ogni possibile riproduzione cinematografica. Invece,
sarebbe giusto che arrivasse sul grande schermo. Tergit dopo la
guerra restò legata alla Germania ma sempre con grande
attenzione. Tesa, ogni volta, a scoprire nel Paese di origine -
diviso oramai tra est e ovest - il possibile riprodursi di quei
segni che aveva visto negli anni '30 e che nel romanzo sono
riprodotti magistralmente nella narrazione della famiglia
nazista dei von Rumke. "Questo romanzo - chiosa Henneberg - non
andrebbe letto solo come testamento spirituale reso in forma di
racconto, ma anche come una sorta di Kaddish, una preghiera per
i tanti morti in nome dei quali i suoi personaggi parlano".
(ANSA).
Leggi l'articolo completo su ANSA.it