(di Elisabetta Stefanelli)
GIANCARLO DE CATALDO, 'PER QUESTI MOTIVI. Autobiografia criminale di un paese' (Sem, pag.
''Decido allora che il mio terreno di battaglia sarà la cultura. Preferisco passare ore con un libro, in un cinema, a teatro, piuttosto che in una tediosa assemblea, dove la presenza di un operaio è salutata con ovazioni da un parterre composto in prevalenza da borghesi: anche se si parlano lingue diverse è evidente che, prima o poi, ciascuno riprenderà la strada che la sua classe di appartenenza gli assegna. La cultura come rifugio? Oasi? è un limite, forse, ma ma aiuterà decisamente a vivere meglio, in futuro''. Giancarlo De Cataldo racconta così della sua prima formazione a Taranto, della sua indole, delle sue passioni, in un illuminante paragrafo di ''Per questi motivi'', il suo nuovo libro appena uscito per Italiana Tabloid di Sem.
Nell'accattivante copertina da vecchio giallaccio d'epoca campeggiano in bianco e nero in un mosaico le foto dei volti e dei casi, da Pasolini al corpo di Wilma Montesi, la ribalta della stampa e la divisa dei Carabinieri, di cui si occupa in queste pagine che nel sottotitolo definisce ''Autobiografia criminale di un paese''. Ma questo libro appassionante non è in realtà facilmente definibile, perchè l'autore mette in gioco, più che in altri casi, la sua vita e i molti piani in cui affonda il suo talento e lo fa senza infingimenti in una riflessione che, se il termine non fosse in disuso, definirei autobiografia intellettuale. Eppure si parla di cronaca si, di alcuni che a parte le vicende processuali, non si possono che definire cold case, casi irrisolti, perchè in tutti si intrecciano vicende sociali, politiche, economiche, a volte anche le stesse segnando senza dubbio la storia d'Italia che in gran parte rimane oscura. E del resto in quel definire ''criminale'' l'autobiografia di un paese, c'è proprio il senso di questa irresolutezza che De Cataldo, nella sua vicenda personale, ha intrecciato tra la felicità narrativa della fiction, da Romanzo criminale a Suburra, e l'impegno di magistrato. In queste pagine oggi e con lo sguardo di oggi che li illumina, si parla del delitto Pasolini, del delitto Montesi, di Piazza Fontana o del delitto di Simonetta Cesaroni a Via Poma, della strage della Sinagoga o della morte di Terry Broome, ogni volta per affondare la penna negli anni in cui sono avvenuti, nel clima sociale e politico dell'epoca, nelle figure oscure e sempre nelle trame. Tutto inizia con l'omicidio di una modella Christa Wanninger uccisa a colpi di pugnale il 2 maggio del 1963 nei pressi di Via Veneto, un delitto da prima pagina.
''Mi sono sempre chiesto - anche questa è un po' un'ossessione, legata però al mio mestiere (quarant'anni di magistratura penale non si cancellano facilmente, e venticinque li ho passati occupandomi di omicidi) - che cosa determini la differenza fra un delitto che non suscita interesse e uno da prima pagina''.
Qui, non c'è dubbio, si tratta solo di delitti da prima pagina e il fatto è che ognuna di queste vicende aveva alle spalle la sagoma dell'Italia e purtroppo non è quella di un'elegante signora. (ANSA).