(di Laura Valentini)
(ANSA) - ROMA, 18 NOV - ZAINAB ENTEZAR 'FUORCHÈ IL SILENZIO'
(Editoriale Jouvence, Pp 594, Euro 30,00)
Uomini che odiano le donne e donne che li combattono e non
rinunciano alla lotta anche quando si tratta di pagare in prima
persona con il carcere, le violenze e, se va bene, l'esilio. E'
l'affresco dell'Afghanistan moderno raccontato direttamente
dalle attiviste nel libro 'Fuorché il silenzio - Trentasei voci
di donne afghane' in uscita il 29 novembre.
"L'arroganza mi disgusta: mi disgustano i paesi che con
arroganza incolpano il popolo afghano per il dominio talebano
affermando che non siamo degni di un sistema democratico". Del
resto "riconciliarsi con i talebani ha significato il
dissolversi di tutte le speranze della gente" dice Tamanna
Rizaei, il cui padre viene ucciso per cupidigia da un notabile
del luogo, omaggiato per la sua influenza anche dalla Nato ma in
combutta con i talebani; la ricerca di verità della giovane
donna porta all'arresto dei figli complici del colpevole che
poi, con l'arrivo dei talebani al potere, vengono liberati.
Tamanna viene arrestata e processata, riuscirà infine a passare
il confine con il Pakistan. Padri che fanno i salti mortali per
mandare le figlie all'università o che dicono loro che non
devono sposarsi fino al conseguimento della laurea: non ci sono
solo le leggi medievali dei talebani e i loro orribili soprusi
nei racconti delle donne afghane. I dimostranti anti-regime,
colpiti e arrestati sono sia uomini che donne. Ma certo le più
colpite dalle leggi repressive sono le donne e sono loro a
tenere accesa la fiaccola della rivolta: "se noi donne non
temiamo la loro repressione, il nostro numero aumenterà di
giorno in giorno, e altre donne troveranno il coraggio di uscire
dalle mura di casa per unirsi a noi" afferma Marziya Mohammadi.
La delusione per il comportamento dell'Occidente, palpabile in
tutte le testimonianze non frena la volontà di opporsi: "Se non
sopportiamo le difficoltà di oggi, ci vergogneremo per sempre
davanti alle generazioni future" osserva Zahra Mosavi. Alcune
hanno avuto una prima giovinezza drammatica. Khalida Shafi'i è
una ragazza di una famiglia povera del villaggio di Gardan-e
Dāvud nel distretto di Jaghori, una parte rurale al centro del
paese. Si avvicina al movimento delle attiviste dopo
un'esperienza di sposa bambina (14 anni) con un marito che la
picchia e la minaccia. Quando lei e due sue sorelle scappano in
Pakistan quasi non riesce a credere alla libertà che trova in
questo paese: da oltreconfine l'Afghanistan le fa l'effetto di
una tomba. (ANSA).
Parlano le donne afghane, Fuorché il silenzio di Zainab Entezar
Fuorchè il silenzio, con le voci delle attiviste