(di Paolo Petroni)
(ANSA) - ROMA, 26 DIC - LEO PERUTZ, ''LA TERZA PALLOTTOLA''
(ADELPHI, pp. 286 - 19,00 euro - Traduzione di Margherita
Belardetti) - Un seducente romanzo di avventure, di
combattimenti e tradimenti, di bramosia e battaglie, di soprusi
e momenti d'amore, più o meno attorno al 1520, durante la guerra
di conquista di Hernan Cortés contro gli Atzechi, sullo sfondo
di un paesaggio e un terreno difficile e della magnificenza
della città di Tenochtitlàn con le sue ricchezze in oro.
Protagonista sarà il tedesco wildgravio del Reno Franz
Grumbach, che per sfuggire, lui luterano, alle persecuzioni di
Carlo V, è arrivato nel Nuovo Mondo e, a suo tempo venne
orrendamente deturpato in viso nell'isola Ferdinandina (Cuba)
dagli spagnoli che ora si ritrova davanti, sulle coste di quello
che sarà il Messico, dove ha di fronte come antagonista un suo
fratellastro (perché ambedue sono figli naturali del re Filippo
II di Spagna), il duca di Mendoza, braccio destro del generale
conquistatore, cui verrà detto ''Siamo arrivati in questa terra
prima di voi, abbiamo dissodato con zelo i nostri campi e
vissuto in pace con gli Indios finché non siete arrivati voi,
lestofanti, banditi, a portare anche qui disgrazie e sciagure''.
La storia è quella della lotta appassionata e strenua del primo
per impedire che l'oro razziato da Cortes finisca in Europa a
finanziare proprio le truppe impegnate in Germania contro i
riformisti luterani: ''Quest'oro non finirà mai nelle mani
dell'Imperatore, dovessi io farmi brigante o bandito!''. Tra i
due, naturalmente, oltre al tesoro, anche una donna, la bella
Dalila, con la sua sensibilità femminile, tanto che a un certo
punto di questa guerra dalle forze impari, tra ideali di fede e
cupidigia violenta, ''non è da escludersi fosse proprio il suo
grido di dolore, che trafisse il cielo e giunse all'orecchio di
Dio, ad addolcirne la collera, tanto che Egli, in virtù di quel
grido, fece dono della grazia di una breve pace a quei miseri
mortali, prima dell'ultimo grave spargimento di sangue''.
Grumbach vorrebbe essere amico degli aztechi e non
depredarli delle loro ricchezze, truffandoli con perline di
vetro e simili o togliendogliele con la ferocia della violenza,
mentre Mendoza e Cortes proprio l'oro vogliono, e basta, a
qualsiasi costo, per sé e per il Re. ''Cinquecento indios di
nobile schiatta, intenti a danzare le loro danze nella
cattedrale, sono stati assaliti dagli spagnoli armati di
archibugi e cannoni. Tutti morti. Neanche un sopravvissuto'' e
il divino imperatore atzeco fatto prigioniero e messo in catene.
E' qui che entra in gioco l'archibugio della perdizione, quello
che Grumbach è riuscito a strappare a un soldato spagnolo, che
avrebbe dovuto difenderlo a costo della morte, assieme a tre
pallottole che intende destinare, una a Cortes, la seconda a
Mendoza, la terza al boia, mentre la maledizione parlava del re
Montezuma, di Dalila e di Grumbach stesso, senza che nessuno la
prendesse sul serio e si vedrà come andrà a finire, in un
coinvolgente gioco delle parti e delle situazioni.
Tutte cose che tornano nella mente, nel ricordo, e raccontate
al presente, come vive, di un vecchio catturato dall'Imperatore
Carlo, che ha oramai vinto i nemici luterani del papa, in attesa
di esser giustiziato e già sfigurato da un colpo di sciabola
alla testa. Questi, nel prologo del romanzo, implora il dottor
Cremonius, astrologo e alchimista dell'imperatore, di aiutarlo a
ricordare, meglio a rivivere un anno cruciale della sua vita. E
questo accade, grazie a una bevanda che ''sa di fuoco di zolfo,
mozza il respiro, opprime il cuore'', mentre attorno a lui
alcuni soldati discutono se il wildgravio del Reno sia ancora
vivo, come ha sentito dire qualcuno, o sia morto da tempo come
testimoniano altri. (ANSA).
La terza pallottola affascinante divertimento di Perutz
romanzo di avventure, battaglie, amori tra Cortés e gli Atzechi