Cultura

Roberto Andò, un romanzo visionario sull'esistente

Indagini e riflessioni in cerca di sé e senso vita a Palermo

Redazione Ansa

ROBERTO ANDÒ, 'IL COCCODRILLO DI PALERMO' (LA NAVE DI TESEO, pp. 252 - 18,00 euro)

Durante la lettura di quest'ultimo romanzo indagine, dal 15 gennaio in libreria, di Roberto Andò (che arriva mentre esce il suo film L'abbaglio e ha appena debuttato la sua regia teatrale di Sarabanda di Bergman) vengono inevitabilmente in mente le celebri parole di Amleto: "Morire, dormire. Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve farci riflettere". Non a caso infatti il protagonista, Rodolfo Anzo (con assonanza pensiamo non casuale col nome dell'autore), fa il documentarista e parla del suo lavoro come "fare in modo d'essere i visionari di ciò che esiste, i visionari di ciò che è", definizione che vale anche per il racconto di questo ritorno alla città delle sue origini e formazione e della sua famiglia, Palermo.

Del resto è la città il cui maggior dipinto si intitola 'Trionfo della morte' e in cui i regali ai bambini li portano i morti il 2 novembre; città, come leggiamo, in cui si è sempre in colloquio coi morti e che, all'arrivo, come dice una studiosa del sonno che non a caso sta facendo un'inchiesta su Palermo, e poi uno psicanalista, è ridotta al rango di natura morta e per il protagonista "somiglia a una gigantesca tomba scoperchiata", preda di "un disfacimento che è soprattutto di natura morale". Un'apparenza quindi, ma di forte suggestione nel rendere labili i confini tra realtà e immaginazione, come indicato anche alla fine quando scopriamo il senso del titolo del romanzo.

Allora il sonno e il sogno sono parte di tutto questo: "Solo l'arrogante può pretendere di distinguere tra il sonno e la veglia, come se d'un tratto fosse possibile escludere di esser già fuori del gioco", quello in cui Anzo verrà spinto dal lascito del padre, un alto poliziotto che appartenne ai servizi segreti, che lo porta a seguirne le tracce, in un'operazione che è di identificazione e di distanza assieme. Infatti, arrivato in città, richiamato da una vicina che lo avverte che la porta della casa dei suoi, chiusa da dieci anni, è stata scassinata, si trova a fare i conti con quella scomparsa e anche col vuoto sentimentale di quella della madre, avvertendo che molto dei genitori ci rimarrà sempre inevitabilmente sconosciuto. Un qualcosa su cui questo romanzo indagine vorrebbe andare il più a fondo possibile e riesce a fare solo riflessioni e ipotesi. Proprio il padre gli aveva spiegato, quando aveva visto come stesse diventando un artista, che "ricavare dagli uomini, e dalle loro tracce, una carta geografica è un'arte".

Scopre allora che questi gli ha lasciato una scatola in cui sono chiusi alcuni vecchi spezzoni di nastri di intercettazioni telefoniche, con il nome degli intercettati, chiedendogli di farli riavere agli ignari interessati. Incuriosito dai bervi, spesso criptici, colloqui che ascolta, si fa investigatore, senza rivelarsi cerca quelle persone, le pedina, vorrebbe carpirne il segreto e cosa abbia potuto legarle a suo padre, con una perseveranza che lo porta a definirle le mie vittime. Ecco allora la parte romanzesca di questo intimo libro con l'inseguimento di una vecchia fiamma del padre e della figlia di lei; quello di uno psicanalista; di un regista; del poliziotto Spadillo, che collaborava col padre ma da questo era indagato sospettandolo infiltrato della mafia; del giornalista Licante, che gli farà poi un po' da Virgilio nel passato del padre e in questa discesa nel cuore di Palermo.

Un insieme di incontri e indagini che sono appunto anche sull'anima della città, in cui lui si è formato, seducente e odiata tanto che Andò ha scelto come guida il rapporto con la sua Vienna di Thomas Bernhard, una cui citazione introduce ogni capitolo. Così un lettore come Roberto Alajmo a proposito ha sottolineato: "È una città in cui l'eroismo consiste nel tornare - casomai, quando oramai pensavamo di essere in salvo - per cercare di disinnescarla". E il senso del libro, che di sensi ne ha molti in un giuoco di ricerca di verità che come sempre sono impossibili, compresa quella più romanzesca su una morte (quella del padre) che non si capisce se sia stato suicidio, assassinio o naturale, è proprio qui e in quell'inseguire "la dissoluzione: come le cose nel tempo si separano, si sciolgono, perdono la loro capacità di definirsi". Che è poi quello a cui ci mette di fronte la vita stessa nel suo dipanarsi che non è uno sciogliersi o rivelarsi, ma solo una lenta presa di coscienza della sua essenza. È come a Palermo la luce, che sempre "procede dalla trasparenza verso l'opacità". 

Leggi l'articolo completo su ANSA.it