E' un sentiero stretto e difficile, ma la strada che Roma deve percorrere per ottenere uno 'sconto' sui requisiti previsti dal Patto di Stabilità passa per il saldo strutturale di bilancio. Variabile molto meno conosciuta, e più complicata, di deficit e debito, ma che potrebbe essere la chiave per il Governo italiano per ottenere una maggiore flessibilità da Bruxelles. Che il deficit debba rimanere sotto il 3% del Pil (e quello strutturale, cioè corretto per gli effetti del ciclo, sotto lo 0,5% come previsto dal fiscal compact) è ormai fatto assodato. Diverso il discorso per il debito, per il quale l'Italia dimostrare di aver avviato un processo adeguato di avvicinamento alla soglia del 60% del Pil, prevista dal Patto (l'Italia ha chiuso il primo trimestre con un debito al 135,6%). Ciò si verifica se il differenziale rispetto al 60% è diminuito negli ultimi tre anni di un ventesimo all'anno (anche tenendo conto dei cicli economici avversi), oppure se tale riduzione si produrrà nel triennio a venire secondo le stime della Commissione. Ma c'è un terzo punto, introdotto dal fiscal compact e aggiornato dal cosiddetto six pack, che riguarda gli 'obiettivi di medio termine' diversi da Paese a paese e che si basa proprio sul cosiddetto saldo di bilancio strutturale. Il metodo di calcolo è decisamente complicato, sviluppato dalla Commissione Ue e concordato da un gruppo di lavoro 'Output gap' appositamente costituito in seno al Consiglio Europeo: i documenti di lavoro della Camera dei Deputati lo definiscono come "l'indicatore che esprime la situazione dei conti pubblici coerente con il prodotto potenziale dell'economia, al netto della componente ciclica e delle misure di bilancio una tantum". Fra queste, ad esempio, i condoni fiscali o la vendita di concessioni e immobili pubblici. In altre parole, indica la differenza fra quanto l'economia potrebbe crescere a livello potenziale e quanto invece cresce realmente ('output gap', appunto), senza tenere conto della crisi economica e di eventuali entrate o uscite eccezionali. Tale indicatore, secondo le regole del six pack, deve scendere almeno dello 0,5% del Pil ogni anno (circa 10 miliardi), "salvo motivate eccezioni". Deviazioni temporanee dalla misura dello 0,5% possono essere accettate, oltre che in presenza di eventi eccezionali, anche nel caso in cui un Paese abbia effettuato riforme strutturali rilevanti (con particolare riferimento a quelle pensionistiche), con un effetto quantificabile sulla sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche. E' proprio su questo punto che si gioca la partita fra Roma e Bruxelles: dimostrando che il deficit è sotto il 3% e il debito è nel percorso di rientro previsto, che le riforme sono state fatte e altre sono in cantiere, il Governo italiano potrebbe ottenere uno sconto su quel 0,5% da reinvestire in quello che sembra essere il lato più carente dell'economia italiana, la crescita.
Leggi l'articolo completo su ANSA.it