Economia

Tfr in busta paga, un'ipotesi che divide

Premier favorevole, Confindustria dice no. Camusso: scelta del lavoratore, ma non è aumento

Tfr in busta paga, un'ipotesi che divide

Redazione Ansa

Dal primo gennaio il Tfr disponibile in busta paga. Il progetto è allo studio in vista della legge di stabilità e la conferma arriva direttamente dal premier Matteo Renzi durante la direzione del Pd. Una ipotesi, già circolata nei giorni scorsi e rilanciata dal presidente del Consiglio anche domenica sera a 'Che tempo che fa', che coglie di sorpresa i diretti interessati e che, anzi, è addirittura "impensabile" per le piccole e medie imprese già stremate da sei anni di crisi e a corto di liquidità per la contrazione del credito, come fa sapere a stretto giro Rete Imprese Italia. La misura, negli intenti, avrebbe una funzione 'anticiclica', sulla scia degli 80 euro: ogni anno si tratta in totale di un flusso tra i 25 e i 26 miliardi e se la metà (l'ipotesi circolata era quella di rendere disponibile, su base volontaria, il 50% del Tfr, per almeno un anno, ma arrivando fino a tre) fosse disponibile ogni mese potrebbe dare nuova linfa ai consumi. "Io sono perché si alzi il salario dei lavoratori" ha sottolineato Renzi prima di ribadire che "siamo disponibili ad accettare una sfida che viene da una parte del sindacato e anche dal mondo dell'impresa perché il trattamento di fine rapporto possa essere inserito dal primo gennaio 2015 direttamente nelle buste paga". A condizione, precisa, che si creino quelle riserve di liquidità per le piccole imprese, "soprattutto sotto i dieci dipendenti" (proprio il punto che allarma le Pmi), "magari attingendo anche alla manovra della Banca centrale europea, attraverso un protocollo tra Abi, Confindustria e governo".

La misura, per la quale uomini del Tesoro ribadiscono che "non esiste nessuno piano del Mef", desterebbe perplessità proprio per le difficoltà che creerebbe alle imprese sotto i 50 dipendenti, quelle che tengono in azienda la 'liquidazione' maturanda se il lavoratore decide di non versarla a un fondo integrativo. Le grandi aziende invece versano il Tfr maturando dei dipendenti in un fondo presso l'Inps gestito dal ministero dell'Economia (ci vanno circa 6 miliardi l'anno).

Ma il Tfr serve anche appunto a finanziare la previdenza complementare e la sanità integrativa. Quindi, osservano uomini del Tesoro, oltre a un problema di liquidità delle imprese si creerebbe anche un problema 'sociale' per il futuro (visto che le pensioni con il sistema contributivo si vanno assottigliando) laddove invece andrebbe incentivata la devoluzione del Tfr alle forme di welfare integrativo. "Per i lavoratori - ricorda il presidente di Rete Imprese Giorgio Merletti - il Tfr è salario differito, per le imprese un debito a lunga scadenza. Non si possono chiamare le imprese ad indebitarsi per sostenere i consumi dei propri dipendenti". Peraltro, osserva, "il trasferimento di tutto il Tfr, o di una parte di esso, nelle buste paga significa azzerare la possibilità, per moltissimi lavoratori, di costruire una previdenza integrativa dignitosa".

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