Economia

Guerra in Volkswagen, il patriarca Piech si dimette

Ha dovuto lasciare il campo al suo (ex) delfino, Martin Winterkorn

Redazione Ansa

Alla fine il patriarca non l'ha spuntata e ha dovuto lasciare il campo al suo (ex) delfino. Ferdinand Piech, presidente del consiglio di sorveglianza del gruppo Volkswagen, si è dimesso dopo lo scontro al calor bianco degli ultimi giorni con l'ad Martin Winterkorn. Innovatore, vulcanico e spregiudicato, 12 (o 13) figli da quattro mogli diverse, il 78enne Piech è unanimemente considerato il salvatore e fautore del successo di questi anni della Volkswagen, alla cui guida arrivò nel 1993 quando il gruppo era in rosso e che ha poi portato a insidiare la giapponese Toyota come primo produttore mondiale. Nipote del leggendario Ferdinand Porsch, inventore del 'Maggiolino', Piech muove i suoi primi passi nell'azienda di famiglia, per poi passare all'Audi, dove lancia la trazione integrale Quattro e ne diviene presidente alla fine degli anni '80. Quando passa alla Volkswagen trasforma 'l'auto del popolo', voluta da Hitler per motorizzare gli operai tedeschi come aveva fatto Ford negli Stati Uniti, in un gruppo mondiale con un portafoglio di marchi prestigiosi quali Lamborghini, Bentley, Ducati e Bugatti. Solo l'Alfa Romeo, da tempo ambita, gli sfugge più volte.

L'ad di Fiat Marchionne nel 2012 rimanda al mittente l'ultimo approccio usando anche il dialetto piemontese: "Monsu' Piech, lassa perde, va cante' 'nt n'autra cort''. Ma l'Alfa è solo una pietra mancante in una corona ricchissima. Una grande e decisiva battaglia il manager l'aveva vinta nel 2008 contro l'altro ramo della famiglia che stava tentando la scalata della Porsche alla Volkswagen. Finì con la casa sportiva quasi sull'orlo del fallimento che entrò quindi a far parte del gruppo di Wolgsburg (sebbene tecnicamente l'acquisizione fu un takeover della piccola sulla grande) e un Piech ancora più lanciato. Ma la corsa del grande 'vecchio' si è arrestata nei giorni scorsi. Ad aprire le ostilità era stato lui: affermando il 10 aprile a Spiegel di essere "distante" da Winterkon che pure aveva appoggiato negli scorsi anni. Ma questa volta Piech era rimasto solo.

La famiglia Porsch (che insieme al presidente del consiglio di sorveglianza detiene il 53% delle azioni) aveva definito le sue parole come una "posizione personale non concordata". Inoltre anche il governo della Bassa Sassonia, che ha una quota del 20% in Vw, ha espresso sostegno a Winterkorn senza riserve, e segnali simili erano arrivati dai sindacati (che come da tradizione hanno dei posti nel board) e dal fondo sovrano del Qatar, socio del gruppo. Nemmeno i segnali e le parole distensive giunte nei giorni seguenti (ma anche un faccia a faccia nella residenza di Piech a Salisburgo) hanno contribuito a rasserenare il clima in vista dell'assemblea del 5 maggio. La conclusione è arrivata così con un secco comunicato.

Via con effetto immediato e fuori dal board anche l'ultima moglie Ursula. A Piech subentra il vice presidente Berthold Huber che peraltro è il rappresentante del potente sindacato dei metalmeccanici Ig Metall.

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