Se i contratti nazionali del pubblico impiego fossero stati rinnovati per tutti i dipendenti, durante gli anni che vanno dal 2010 al 2015, i costi non sarebbero stati inferiori a 35 miliardi di euro. La cifra arriva dall'Avvocatura generale dello Stato, messa nero su bianco nelle memorie preparate in vista dell'udienza dalla Consulta sulla costituzionalità del blocco degli stipendi nella P.
In dettaglio, nelle memorie l'Avvocatura precisa che "i rilevanti effetti finanziari derivanti dall'intervento normativo che si esamina sono evidenti. Ed infatti - prosegue - l'onere conseguente alla contrattazione di livello nazionale, per il periodo 2010-2015, relativo a tutto il personale pubblico, non potrebbe essere inferiore a 35 miliardi di euro, con un effetto strutturale di circa 13 miliardi di euro, a decorrere dal 2016". Inoltre l'Avvocatura rileva come "in ogni caso le prerogative sindacali risultano salvaguardate e si sono estrinsecate, tra l'altro, nella partecipazione all'attività negoziale per la stipulazione dei contratti integrativi (Ccni), sia pure entro i limiti finanziari normativamente previsti" e "di contratti quadro". Poi, aggiunge, è rimasta in piedi la possibilità "di dar luogo alle procedure relative ai contratti collettivi nazionali, sia pure per la sola parte normativa". Insomma, evidenzia, ciò dimostra come "un'intensa attività contrattuale sia stata svolta, anche in pendenza del nuovo complesso normativo, ed abbia riguardato sia la contrattazione integrativa che quella nazionale". Da poco poi sono anche state sbloccate alcune voci prima congelate o vincolate (dal via libera alle progressioni di carriera alla caduta dei tetti per gli scatti di anzianità e per il secondo livello). Secondo l'Avvocatura inoltre, che cita anche diverse sentenze della Corte a supporto, il blocco della contrattazione nella P.A. risponde a finalità, riconducili a due principi di rango costituzionale: il primo sta nella razionalizzazione e nel contenimento della spesa pubblica "non solo in relazione all'attuale fase di crisi economica-finanziaria, ma in termini strutturali" cos' da evitare squilibri di bilancio; il secondo invece riguarda "la garanzia di un contributo equamente distribuito" di "tutte le componenti dell'apparato pubblico". Particolarmente critiche le sigle che hanno promosso il ricorso: secondo il segretario generale della Confsal Unsa, Massimo Battaglia, i numeri dell'avvocatura sono "volti a spaventare: questa non è più una Repubblica fondata sul lavoro ma sul pareggio di bilancio". Così anche l'altro ricorrente, l'Flp e tutte le altre organizzazioni sindacali, a partire della categorie del pubblico di Cgil, Cisl e Uil, che sottolineano: "Milioni di lavoratori pubblici si aspettano giustizia dalla sentenza della Corte costituzionale, ma sanno benissimo che è il governo a tenere fermi i contratti". Ora quindi non resta che aspettare il 23 giugno, quando la Consulta si esprimerà sul punto. Sulla questione qualche giorno fa il ministro della P.A, Marianna Madia, aveva ricordato che una sentenza c'è già stata e ha certificato la costituzionalità del blocco e, aveva spiegato, "le iniziative prese dal Governo hanno rispettato la sentenza", visto che ci sono stati anche gli "80 euro".
Statali, Avvocatura dello Stato alla Consulta: "Sblocco contratti costa 35 miliardi"
Effetto strutturale 13 miliardi l'anno dal 2016