Economia

Ecco le clausole di garanzia per la manovra

Giovanni Tria

Redazione Ansa

Un nuovo meccanismo di 'salvaguardia dei conti' è allo studio del governo. Ma a differenza del passato, quando si passava ai tagli orizzontali sulla spesa o all'aumento programmato nel tempo delle aliquote Iva, il nuovo strumento non guarda il mancato raggiungimento di incassi fiscali o di risparmi, ma al mancato rispetto della crescita programmata. "Se la scommessa sulla crescita sarà persa o solo parzialmente vinta - ha spiegato il ministro dell'Economia Giovanni Tria in una intervista al Sole 24 Ore - i programmi conterranno una clausola che prevede la revisione della spesa in modo che l'obiettivo di deficit per i prossimi anni non sia superato rispetto al limite posto".
Si tratta di una novità rispetto al passato. In pratica l'andamento del Pil - che è il denominatore sul quale si calcola sia il rapporto debito/pil, sia quello Deficit/pil - è fondamentale per il raggiungimento dell'obiettivo di deficit al 2,4%. Se la crescita non va, questi due rapporti salgono. Ecco allora che sarebbe previsto un meccanismo di riduzione della spesa. Il governo non ha ancora chiarito se questo riguarda tutti gli esborsi o la nuova spesa programmata per gli interventi che saranno adottati.

Le clausole di salvaguardia del recente passato, invece, erano state inserite all'interno dei diversi provvedimenti di manovra, per stabilizzare i conti per più anni, prevedendo tagli agli sconti fiscali e, soprattutto, aumenti dell'Iva e delle accise. Ma anche prima erano previsti meccanismi tesi a mantenere il deficit sotto controllo. Nel 2002 - con Silvio Berlusconi premier e Giulio Tremonti ministro dell'Economia - venne introdotta un procedura taglia-deficit, che venne anche fatta scattare in novembre: vennero bloccate tutte le spese non obbligatorie delle pubbliche amministrazioni, che quindi potevano solo pagare stipendi e pensioni. Un meccanismo analogo, una sorta di semaforo della spesa, era stato previsto anche in precedenza, ma finalizzato a singoli provvedimenti, per limitarne l'efficacia al solo budget stanziato. In questo caso, invece, il taglio divenne generalizzato. Il ricorso a clausole di salvaguardia fiscali, invece, è arrivato nel 2011, con i decreti legge adottati dal governo Berlusconi durante l'estate, per fronteggiare la crisi dei mercati e il rialzo dello spread: entro il 30 settembre 2012 il governo si trovava obbligato a trovare tagli alla spesa sociale, senza i quali sarebbe scattato un aumento dell'Iva e delle accise.

Il premier Monti, che prese di lì a poco il testimone, riuscì a disinnescare le ''clausole'' solo in parte, rinviando gli aumenti al primo luglio 2013. Il testimone passò poi ad Enrico Letta che riuscì a posticipare l'aumento dell'Iva dal 21 al 22% solo di qualche mese (nell'ottobre 2013), lasciando poi nel 2014 in eredità al Governo Renzi un'analoga nuova clausola di salvaguardia, disinnescata e riaccesa anche negli anni passati, fino all'ultima ''consegna'' che prevede ora, per il 2019, 12,5 miliardi di aumenti Iva da bloccare e per il 2020 19,1 miliardi.

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