E' circa un anno che la questione del disaccoppiamento (decoupling) del prezzo del gas da quello dell'elettricità è sul tavolo dell'Ue. In seguito della prima impennata delle quotazioni delle materie prime energetiche causata dalla ripresa dell'economia post-Covid, diversi Paesi hanno infatti iniziato a sperimentare aumenti spropositati della bolletta elettrica pur avendo nel mix energetico una quota marginale di gas.
Un risultato determinato dal meccanismo messo a punto negli anni novanta del secolo scorso dall'Ue in concomitanza con il processo di liberalizzazione dei mercati dell'energia europei. Il sistema ha funzionato bene per decenni, garantendo energia a prezzi accessibili. Ed è servito anche a rendere più costoso il carbone, favorendone la dismissione.
Ma la crisi del Covid e la guerra in Ucraina hanno radicalmente cambiato lo scenario. Diverse capitali hanno fatto notare che il sistema era buono per liberalizzare, ma non altrettanto per decarbonizzare, perché fa pagare troppo le rinnovabili. Già nel dicembre 2021, Italia, Francia e Spagna, Romania e Grecia avevano chiesto una riforma incisiva delle regole del mercato, accoppiamento gas-elettricità incluso. Altri nove Paesi (Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Paesi Bassi) erano disponibili a considerare variazioni, ma solo a patto di non sconvolgere l'assetto esistente. Le due posizioni si sono confrontate in modo diretto e a distanza per mesi. Fino all'apertura alla revisione del funzionamento del mercato europeo dell'energia elettrica arrivata a maggio dai leader Ue.