Da grana per il Paese a 'grano' per il Tesoro. Nel senso di soldi.
Dopo l'ulteriore cessione del 12,5% al Mef resta ancora una quota del 26,7% che ai corsi di Borsa vale 1,4 miliardi di euro, al netto del premio di controllo. Non basteranno a rientrare dei 5,4 miliardi investiti a Siena per evitare il crac nel 2017 ma si tratta di risorse preziose per centrare l'obiettivo di ridurre il debito pubblico di 20 miliardi di euro attraverso le privatizzazioni.
La ritirata dello Stato - che in quattro mesi ha più che dimezzato la sua quota - ha riportato la banca nell'alveo del mercato, che dopo il 2017 era rimasto alla larga da un titolo poco liquido e pieno di rischi. Ora gli investitori detengono tre quarti di una banca che vale più di cinque miliardi e ne presidiano il consiglio dove, con l'assemblea di aprile, Assogestioni riporterà a tre i suoi rappresentanti, sostituendo Marco Giorgino, traslocato in Mediobanca.
L'interesse si è visto anche ieri: domanda tripla dell'offerta, con molto estero nei libri delle banche che hanno gestito il collocamento (Citi, Jefferies, Mediobanca e Bofa). Il 51% della domanda è arrivata dalla Gran Bretagna, il 34% dagli Usa e il 9% dall'Italia, con il 70% delle azioni assegnate a fondi hedge e il 30% a fondi 'long only'.
Ora per 90 giorni il Tesoro non potrà fare mosse, per effetto dei vincoli di lockup. Ma a fine giugno si riproporrà il dilemma: continuare a fare cassa o invece aspettare l'arrivo di un pretendente? Il governo non ha fatto mistero di preferire un'operazione industriale per uscire da Siena. L'obiettivo sarebbe costruire il terzo polo bancario, ma i candidati naturali - Banco Bpm e Bper - continuano ad escludere un interesse per il Monte. Meno chiare sono le intenzioni di Unicredit, che dispone di una montagna di capitale in eccesso, sulla cui destinazione l'ad Andrea Orcel tiene per ora le carte coperte. Secondo alcune indiscrezioni, il banchiere, che nel 2021 aveva chiesto una dote di svariati miliardi per comprare Siena, avrebbe riallacciato qualche contatto con Roma.
La progressiva discesa del Tesoro nel capitale in ogni caso "agevola la governance" di un eventuale matrimonio, rendendo meno ingombrante la presenza dello Stato: in una fusione ai valori di Borsa e senza premio, calcolano gli analisti di Kepler, il Mef si diluirebbe al 2% con Unicredit, al 12% con Bper e sotto il 10% con Banco Bpm. Nel caso in cui il Tesoro decidesse di ridurre ulteriormente la sua presenza con un altro collocamento dovrà però rinunciare al possesso di una partecipazione superiore al 25% del capitale, soglia dell'opa per Mps secondo il Tuf. Ma il Tesoro potrebbe anche prendere tempo e chiedere una proroga all'Ue rispetto al termine di fine 2024 per l'uscita dal capitale. Il rilancio della banca e i progressi fatti dallo Stato nella riduzione della sua partecipazione, secondo molti osservatori, potrebbero agevolare la richiesta. Tanto più che, come ha detto Giorgetti, "più o meno ci siamo" nel rispetto degli impegni presi con Bruxelles.
Meno Stato e più mercato, tanti fondi esteri su Mps
Giorgetti, la Ue? Quasi ci siamo. Ma per ora niente pretendenti