Il Cda di Banco Bpm boccia l'offerta pubblica di scambio di Unicredit, giudicandola "all'unanimità" inadeguata a riflettere il valore della banca ed esprimendo forte preoccupazione per le "prevedibili ricadute" occupazionali e per gli effetti negativi che avrà sulla "flessibilità strategica" dell'istituto, ingessato dalla 'passivity rule' in una fase di forte crescita.
In attesa della valutazione formale - che potrà arrivare solo tra qualche mese dopo la pubblicazione del documento di offerta - al consiglio basta una mattinata di esame del comunicato ex art. 102 del Tuf con cui l'Ops è stata annunciata per affossare una proposta che "non è stata in alcun modo preventivamente concordata" o più semplicemente è "ostile", per usare le parole del consigliere Mauro Paoloni.
Stupore ha generato anzitutto il corrispettivo, che esprime un premio di solo lo 0,5%, trasformatosi in uno sconto di circa il 7,6% dopo la reazione divergente dei titoli in Borsa, oggi entrambi in calo di circa un punto percentuale. "Condizioni inusuali" le bolla il Banco, che "non riflettono in alcun modo la redditività e l'ulteriore potenziale di creazione di valore" della banca, a maggior ragione dopo le iniziative strategiche - l'Opa su Anima e l'acquisto della quota di Mps, la creazione delle fabbriche prodotto nell'assicurazione e nella monetica - che "si tradurranno in un aggiornamento degli obiettivi" del piano, "in parte già anticipati al mercato".
Banco Bpm, rivendica il Cda, è tra le banche "con le migliori prospettive di crescita nell'attuale scenario di mercato", in grado "di estrarre dalle fabbriche prodotto" un contributo "ancora più importante, riducendo nel contempo la propria esposizione" al calo dei tassi. Per questa ragione la banca resta "focalizzata" sulla sua attuale strategia, allargata all'Opa su Anima "e sul conseguente aggiornamento del piano industriale, non trascurando alcuna opzione strategica" in grado di creare valore.
Entrare a far parte di Unicredit, viceversa, espone "all'alea connessa" alla scalata a Commerzbank in Germania e alla "diluizione" di un posizionamento geografico invidiabile, concentrato nelle ricche regioni del Nord Italia, a vantaggio di aree a "minore crescita" e con "maggiore rischio geopolitico".
Con Unicredit, inoltre, scomparirebbe "il brand" e si ridurrebbe "significativamente" la concorrenza sul mercato bancario mentre le sinergie di costo, stimate in 900 milioni, sollevano "forti preoccupazioni" sulle "prevedibili ricadute" occupazionali e sociali, senza essere "valorizzate" nel prezzo di offerta.
Infine il Banco lamenta come - a fronte di condizioni "inusuali" - debba sopportare forti limitazioni alla sua "flessibilità strategica", per effetto della passivity rule, che richiede l'approvazione in assemblea delle iniziative potenzialmente difensive. Condizionamenti che si ripercuoteranno sulle "condizioni" dell'Opa su Anima - su cui il Banco va avanti con il deposito del prospetto in Consob - ma anche sul "recente investimento" in Mps, su cui non potrà far leva se non con il consenso dei soci.
A questo prezzo, concordano in molti, difficilmente l'Ops andrà in porto ma la mossa consente all'ad di Unicredit, Andrea Orcel, di giocare su più fronti: quello tedesco, dove la scalata a Commerzbank richiede tempi lunghi, e su quello italiano, dove 'lega le mani' al Banco, garantendosi più opzioni strategiche. E se dovesse scegliere di concentrare i suoi sforzi sull'Italia non è escluso, evidenzia S&P, che possa alzare l'offerta.
Ora si tratterà di vedere come si posizioneranno gli azionisti del Banco. I loro rappresentanti in cda - Credit Agricole, fondazioni e casse previdenziali - sono stati compatti. La banca francese, primo socio con il 9,2% del capitale e potenziale cavaliere bianco, ha negato di aver chiesto alla Bce l'autorizzazione a salire sopra il 10%, dopo le indiscrezioni che ipotizzavano la costruzione di un derivato su un ulteriore 10% del capitale. Per gli analisti di Mediobanca difficilmente lancerà una controfferta mentre il mandato del suo ceo, Philippe Brassac, si avvia al termine anche se un aumento della quota potrebbe rafforzarla al tavolo negoziale per quanto di suo interesse: avere canali distributivi per i suoi prodotti.Rilanciare, crescere o vendere: un dilemma, scrive Kbw, "senza facili soluzioni".