>>>ANSA/ Imprese italiane piu' solide, ma rischi dalla Bce
Meno dipendenza dalla tedesche. Digitalizzazione a rilento
(di Domenico Conti)
(ANSA) - ROMA, 28 MAR - La "resilienza", una delle voci
racchiuse nell'acronimo 'Pnrr', nelle imprese italiane c'è stata
durante il doppio shock pandemia-guerra. La digitalizzazione,
cui era dedicato un quinto delle risorse europee, va invece a
rilento. E se da una parte un'internazionalizzazione più vivace
ha un po' emancipato le imprese dal legame con l'economia
tedesca, oggi 'malato' d'Europa, dall'altra quasi un quarto
delle aziende rischia grosso dalla politica monetaria
restrittiva.
E' la fotografia scattata dall'Istat nel 'Rapporto sulla
competitività dei settori produttivi' presentato oggi a Torino
assieme al Politecnico, un documento dettagliato su settori,
filiere, dinamiche e problemi delle imprese italiane, che a
dispetto di quanto si temesse agli inizi della pandemia e con la
fiammata inflazionistica della guerra, grazie anche agli aiuti
europei e governativi, si sono mostrate "più resilienti di
fronte agli shock". Perché il sistema produttivo, come le
banche, era uscito rafforzato nel decennio successivo alla crisi
finanziaria del 2008-2009 e alla crisi del debito del 2012.
Proprio sul fronte del credito, tuttavia, l'inasprimento
della politica monetaria della Bce "ha provocato, dal 2022 e per
tutto il 2023, un diffuso peggioramento delle condizioni di
finanziamento per le imprese manifatturiere". Stefano Costa,
primo ricercatore presso il Servizio per l'analisi e la ricerca
economica e sociale dell'Istat, spiega che in base alle
simulazioni, se la Bce non dovesse allentare la stretta come
atteso, "fino a un quarto delle società di capitali potrebbe
andare sotto la linea di galleggiamento", ossia passare dalla
categoria 'in salute' o 'fragili' a quella 'a rischio' o
'fortemente a rischio'.
Un 'plus' per le imprese italiane è dato dal fatto che la
dipendenza economica dalla Germania "si è ridotta nel periodo
pre-pandemico ed è aumentata quella nei confronti degli altri
Paesi". "La recessione tedesca del 2023 ha avuto, tramite
l'export, un effetto sulla crescita italiana stimato in due
decimi di punto di Pil", come ha spiegato Monica Pratesi,
direttrice del Dipartimento per la produzione statistica
dell'Istat. Ma poteva andare peggio.
Un quadro in chiaroscuro, invece, per le fragilità
tradizionali del tessuto imprenditoriale sul fronte della
internazionalizzazione, dell'innovazione (con una spesa in
ricerca e sviluppo dell'1,5% del Pil contro il 3% della
Germania), della presenza nella catena globale del lavoro,
dell'adozione delle tecnologie digitali. Il sistema delle
imprese italiane, pur procedendo a un'adozione del digitale
forzata dalla pandemia, "ancora deve fare strada per la
transizione digitale", avverte Costa. Al punto che "la
maggioranza delle imprese adotta meno di tre tecnologie", fra
quelle infrastrutturali e di sicurezza informatica (entrate
ormai sia nell'industria sia nei servizi), l'analisi e
l'utilizzo dei big-data (più presente nei servizi), e infine,
più presenti nella manifattura, la stampa 3D, le soluzioni di
automazione, la certificazione dei processi via blockchain e
l'Internet delle cose. Per Anna Giunta, Professoressa di
Economia industriale all'università Roma Tre, "nonostante
Industria 4.0 c'è una bassa adozione di tecnologie, è un
processo graduale ma c'è un elemento di criticità".
L'"Indicatore di dinamismo strategico" dell'Istat, fatto di
propensione a innovare, investire in tecnologia, formazione,
organizzazione aziendale, ancora nel 2022 rivela un sistema
"dualistico" con quasi il 60% delle imprese (che però fanno solo
il 25% di valore aggiunto) a dinamismo basso o medio-basso, e un
22,3% di imprese più dinamiche che genera oltre il 50% del
valore aggiunto. Quadro simile per l'internazionalizzazione:
ancora nel 2021 il 70% non raggiungeva lo status di "Global",
solo poco più del 17% apparteneva a gruppi multinazionali,
prevalentemente a controllo italiano. Eppure proprio le
multinazionali nel 2021 spiegavano ben il 76,1% dell'export
italiano (41,3% la quota di quelle a controllo italiano, era il
35% nel 2019) . (ANSA).
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