Economia

Il sogno indiano del tessile, 'G20 un'occasione'

Al Nid di Ahmedabad la nuova frontiera della moda sostenibile

Il sogno indiano del tessile, 'G20 un'occasione'

Redazione Ansa

 La pioggia ormai scarica dei monsoni bagna il cotone sui filatoi ai lati delle strade e fa sciogliere i colori delle tempere in rivoli che macchiano l'asfalto. Ad Ahmedabad, nel Gujarat, l'arte del tessile si tramanda come un proverbio popolare di generazione in generazione e traina l'intera produzione manufatturiera indiana, ancora in attesa dell'impulso giusto per contribuire a portare l'economia nazionale a competere ad armi pari con la Cina, la Corea del Sud e il Vietnam. E' quella, ripetono come un mantra funzionari del governo e rappresentanti dell'industria, la chiave per avverare il sogno del premier Narendra Modi di far volare l'India al terzo posto tra le potenze globali entro il 2030. E l'anno di presidenza del G20 - che culminerà con il vertice dei leader il 9 e 10 settembre a Delhi - per chi cerca di formare i giovani e inserirli nel mercato del lavoro "è l'occasione giusta".
    Tra le aule del quartier generale del National Institute of Design (Nid), sulle sponde del fiume Sabarmati di Ahmedabad, i ragazzi studiano e testano le proprietà dei tessuti, dalle fibre bio al rayon intrecciato, fino alla pelle. Sei chilometri più a nord, l'arcolaio - charka - di Mahatma Gandhi, divenuto simbolo della nonviolenza e del movimento della libertà indiana, è ancora intatto nell'ashram aperto ai visitatori. "L'industria tessile qui ha una storia molto antica", riflette la professoressa di discipline del tessile del Nid Arnab Senapati, certa che "le competenze ci sono già". Ora tutto l'impegno deve essere profuso "nell'innovazione in fatto di tecnologie e ambiente". Un punto che lei stessa considera "incredibilmente importante" per "l'ambizione di diventare leader globali nel settore che, nonostante l'automatizzazione sempre più diffusa, impiega un enorme numero di persone". E per far così fiorire "tutto il business indiano".
    La passerella del G20 diventa allora, nella prospettiva del Nid, una vetrina per "la nuova frontiera" della tessitura e della "moda sostenibile". Una tendenza che parte proprio dai 60 milioni di abitanti del Gujarat, il quinto Stato più popoloso dell'India considerato la locomotiva del Paese, dove si realizzano il 50% dei prodotti nazionali di fibra sintetica e si trova la più vasta produzione interna di denim. Allargando la lente all'inter India, il settore vale circa 70 miliardi di dollari - intorno al 2% del Pil - e rappresenta il 10% della produzione industriale. Lo stesso istituto ha "stilisti che lavorano a livello globale" e "collaborazioni internazionali di alto rango", anche con diverse università italiane, prima su tutte il Politecnico di Milano.
    La manifattura rimane tuttavia un pezzo incompiuto nel puzzle del mercato indiano, da tempo in lotta per consolidare una base produttiva all'altezza di Pechino, Seoul o Hanoi. Per Delhi i numeri sono ancora troppo deboli: il 3% della produzione mondiale. E negli assunti degli economisti c'è bisogno di un'occupazione di massa che può arrivare soltanto dal vasto bacino degli under 30, oltre il 30% degli 1,4 miliardi di indiani. Con le attività del G20, spiega Senapati, "l'aspettativa è connetterci ai grandi temi globali e rendere visibile la storia dell'India e dei suoi ragazzi". I prodotti da showcase includono "l'uso di biomateriali, la tessitura naturale e l'aumento delle tecnologie sostenibili, una delle più grandi storie per l'India per adattarsi e soddisfare le esigenze dell'economia". Ne è un esempio 'The Future of Clothing', tutto realizzato in dipartimento dalla giovanissima Rhea Muthane per "aumentare la consapevolezza sul design sostenibile". Nei laboratori indiani, intanto, l'attesa del G20 è sovrastata dal rumore meccanico dei filatoi che continuano a tirare e attorcigliare delicati fili di nylon, seta e cachemire. (
   

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