L'orrore delle decapitazioni dell'Isis ha colpito di nuovo la Libia ricordando la minaccia che incombe sul paese, fragilissimo perchè ancora spaccato in due nonostante difficili negoziati di riconciliazione in corso fra Tobruk e Tripoli. Mentre l'onda lunga della destabilizzazione jihadista torna a proiettarsi anche nel vicino Mali dove un attacco, il secondo in due giorni, ha preso oggi di mira una base dell'Onu facendo almeno tre morti.
A essere decapitate sono state otto delle 11 guardie uccise venerdì scorso in un attacco portato dai miliziani del 'califfato' contro il campo petrolifero libico di Al Ghani, a sud di Sirte e dell'omonimo golfo. Informazioni sull'efferatezza del raid erano già circolate, ma ora si è appreso che otto teste sono state consegnate a un ospedale della zona e una macabra foto circola su Twitter. Il ministero degli Esteri di Vienna, dicastero coinvolto perché nell'attacco sono stati rapiti nove dipendenti stranieri dell'impianto tra cui un austriaco di 39 anni e un altro europeo (un ceco), ha precisato che ad attaccare sono stati elementi affiliati dello Stato islamico di Sirte noti per aver decapitato i 21 copti sui quali fu diffuso un video a metà del mese scorso. Nonostante le informazioni restino controverse, fonti libiche confermano che Sirte - come da tempo il 'califfato' di Derna - è ormai in mano allo Stato islamico.
L'attacco, ultimo di una serie che ha preso di mira almeno quattro campi petroliferi nel frattempo riconquistati dalle forze che fanno capo a Tripoli (almeno secondo dichiarazioni di un loro portavoce), non è stato in ogni caso rivendicato. E senza firma resta per ora anche la scarica di oltre 30 razzi e bombe di mortaio che hanno colpito una base dell'Onu a Kidal, nel nord-est del Mali, dove sono morti un Casco blu e due bambini. Il gruppo qaedista "Ansar Dine" aveva rivendicato un attacco simile compiuto nel settembre scorso contro soldati delle Nazioni unite nella stessa città, a circa 1.500 km dalla capitale Bamako. Ma soprattutto un gruppo formato dal capo jihadista algerino Moktar Belmoktar si è ascritto la paternità della raffica di colpi che un uomo a volto coperto ha sparato sabato in un bar-ristorante di Bamako uccidendo cinque persone tra cui un francese e un belga: attentato che sarebbe una vendetta per l'uccisione di un altro leader fondamentalista islamico in un raid franco-maliano (la Francia a inizio 2013 guidò l'intervento militari contro i jihadisti che avevano occupato parte del nord-est del Paese per imporvi la sharia).
Eventi che confermano come la minaccia non sia ancora debellata in Mali. Mentre imperversa ormai da mesi ad opera dell'Isis in vaste aree della Libia del dopo-Gheddafi: da Derna, sulla costa est, fino a Sirte. Il pericolo sta spingendo le due principali fazioni rivali libiche - il governo riconosciuto internazionalmente, ma riparato a Tobruk, e quello sostenuto da milizie islamiche a Tripoli - a negoziare un accordo di unità nazionale sotto l'egida dell'Onu, con colloqui itineranti che da giovedì a sabato sembrano aver fatto passi avanti nei pressi di Rabat, in Marocco. Il nuovo appuntamento è per mercoledì, ma i media libici segnalano un certo nervosismo fra i delegati 'laici' di Tobruk e tra le forze che fanno capo al generale Haftar, a dispetto delle parole di ottimismo riecheggiate ieri dal tavolo delle trattative. E riferiscono di scontri avvenuti ancora sabato attorno alla base aerea di Brak, dopo che l'Onu aveva avvertito come violazioni dell'attuale cessate il fuoco fossero destinate a rappresentare una "minaccia molto seria" per il negoziato.
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