Esecutori di un piano coordinato fin nei minimi particolari da una "mente", probabilmente all'estero: i fratelli Kouachi che fecero strage alla redazione di Charlie Hebdo il 7 gennaio e Amedy Coulibaly che sparò sugli inermi in un supermercato kosher parigino erano manovrati attraverso il web e gli Sms. Le Monde, che ha avuto accesso ai messaggi reperiti dagli inquirenti, spiega anche come la strage avrebbe potuto essere molto più sanguinosa se tutto avesse funzionato secondo i piani.
Dall'inchiesta del quotidiano francese emerge soprattutto che lo scenario terroristico che si può ricostruire è quello più temuto ancora oggi dai servizi francesi: molteplici offensive coordinate fra loro sul territorio ad opera di una rete di jihadisti rimasta invisibile fino al momento di passare all'azione. Il mandante misterioso, al quale ormai apertamente gli 007 francesi stanno dando la caccia, non ha lasciato tracce. L'unica, sulla quale a lungo si è puntato, era uno dei tanti account email dai quali sono partite le istruzioni, "lawrence0122007@gmx.com", conto aperto l'8 gennaio alle 12:25, proprio il giorno fra le due stragi. A nome (ovviamente falso), Patriks Lawrence, abitante a "JP", nato il 13 settembre 1981.
I servizi francesi si sono lanciati sulla preda, chiedendo aiuto ai colleghi americani perché 'indirizzo email è edito da una società Usa. Dopo lunghi mesi di attesa, qualche giorno fa è arrivata la risposta: indirizzo "fittizio", account "chiuso il 28 gennaio", 20 giorni dopo la creazione. Nonostante ciò, gli agenti francesi non mollano. E abbozzano a grandi linee l'identikit di questo "coordinatore": rassicurante, freddo, perfettamente al corrente di quanto accadeva sul terreno e delle debolezze dei suoi uomini, pronto a incitarli o a correggerli. "Ok - scriveva il mandante, appena due ore dopo la strage di Charlie Hebdo, ad Amedy Coulibaly che si apprestava a entrare in scena - fa' quel che devi fare oggi ma semplicemente. Poi torna a dormire e verifica l'indirizzo 1 ogni giorno: presto indicazioni per gli amici che devono raggiungerti per aiutarti, sbarazzati della carta sim, passa su indirizzo 1, basta con il 2". Coulibaly, molto sgrammaticato, lo mette al corrente in un messaggio del suo armamento: "Ho un Ak-47 con 275 cartucce. Sei Tokarev con 69 cartucce. Tre giubbetti antiproiettile militari, tre tattici, due bombe a gel e a gas, due grossi coltelli".
Al di là dei fratelli Kouachi, quindi, Coulibaly avrebbe dovuto avere l'appoggio di diversi compagni armati per la sua azione suicida. Quel 9 gennaio, al Hypercacher, la strage avrebbe potuto essere di dimensioni ancora maggiori, ma per un motivo ignoto i complici non arrivarono mai. Qualcuno di loro potrebbe essere fra i sette sotto accusa nell'inchiesta. Minuzioso e per ora senza risultati definitivi il lavoro degli inquirenti per trovare i punti di contatto fra i Kouachi e Coulibaly. Ma la missione è di importanza capitale, perché ognuno di questi punti di contatto potrebbe condurre alla "mente" dislocata all'estero. Il nome più ricorrente è quello di Peter Cherif, 33 anni, islamista radicale, il cui nome salta fuori dai tabulati telefonici sia dei Kouachi, sia di Coulibaly. E l'ultimo rifugio dei fratelli, la tipografia in banlieue dove furono poi uccisi, era a 300 metri da una scuola guida che fu frequentata da Cherif. Un profilo, quello del ricercato, che ha fatto sobbalzare gli inquirenti: pregiudicato, partito sul fronte della jihad in Iraq nel 2004, catturato a Falluja, imprigionato prima a Camp Bucca poi ad Abu Ghraib, da dove riuscì a evadere per poi essere arrestato in Siria ed estradato in Francia. Da qui nuova evasione nel 2011, all'ultimo giorno di rocesso. Le sue ultime tracce lo danno in direzione Yemen. E' lui la "mente" delle stragi di gennaio?.
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