Il 25 aprile di un anno fa il Nepal, uno dei paesi più poveri al mondo, fu colpito dal terremoto di magnitudo 7.9 Richter, seguito dal sisma del 12 maggio d'intensità leggermente inferiore (7.
Il Nepal è una repubblica federale dal 2008, dopo la monarchia e un decennio di guerra civile che si è conclusa nel 2006; ha una Carta costituzionale soltanto da sette mesi e proprio lo scorso settembre l'etnia madhesi, che rivendica maggiore rappresentanza, ha provocato scontri con morti e la decisione dell'India di bloccare per sei mesi l'importazione di merci di prima necessità, aggravando la situazione interna del Paese, dove circa un quarto della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e l'economia si sostiene con le rimesse degli emigrati che rappresentano il 25% della ricchezza nazionale. "Il Paese stenta a ripartire - spiega Masi, in questo periodo in costante contatto con il rappresentante in Nepal di Tulime, Krishna Sadan Awal, che nel villaggio agricolo di Chhaling (Bhaktapur) segue un progetto a supporto della scuola pubblica. L'edificio scolastico costruito da Tulime non ha subito danni dal terremoto - a causa di più fattori: la crisi del turismo (principale risorsa economica dopo l'agricoltura), il protrarsi dell'instabilità politica, le conseguenze del blocco illegale delle merci, il mancato avvio della ricostruzione, a cui si associa un diffuso senso di abbandono da parte della comunità internazionale nel quasi generale silenzio da parte dei media esteri. L'Italia, tra gli stati intervenuti, ha stanziato 300 mila euro; ma i protagonisti sono le piccole associazioni attive da tempo in Nepal, insieme a quelle locali; si sono mobilitati anche gli emigrati, attraverso la 'Non resident nepalese association'. Ma ad un anno dal terremoto, la ricostruzione di fatto non è mai cominciata. L'autorità nazionale per la ricostruzione (Nra) di fatto non è decollata.
Lo stesso primo ministro ha recentemente dichiarato che di questo passo ci vorranno decenni per la ricostruzione".