Adesso tutti con Macron. Fermare l'avanzata del Front National di Marine Le Pen è la parola d'ordine dei partiti sconfitti al primo turno, dei socialisti e dei repubblicani, e delle cancellerie di un'Europa che guarda con il fiato sospeso alle elezioni francesi, come a un tornate decisivo e inquietante della sua storia.
Macron si sente presidente in pectore e l'analisi fredda dei numeri gli dà ampiamente ragione. Ma mancano ancora due settimane al ballottaggio, quando si scontreranno due anime contrapposte della visione del mondo e del futuro.
Da un lato, la Francia profonda ferita dall'infinita crisi economica, turbata dal terrorismo che nasce nelle sue banlieue, da nuove migrazioni percepite come invasioni, arrabbiata contro la globalizzazione e l'Europa ritenute fonti di tutti i mali, vogliosa di chiudersi in se stessa e, soprattutto, di chiudere i confini.
Dall'altra la Francia che vuole provare a credere ancora, in qualche modo, in un'Europa rinnovata e forte, nel sogno di Robert Schuman, Jean Monnet e François Mitterrand, nella possibilità di far ripartire il motore inceppato di Bruxelles.
Queste speranze sono affidate a Emmanuel Macron, un trentanovenne che ha frequentato la prestigiosa Ena, la scuola delle elite francesi, che ha lavorato per la banca Rothschild e cha ha fiutato per primo l'aria che tirava: ha abbandonato il governo Valls, dove era ministro dell'economia con tendenze fortemente liberali, per fondare un partito nuovo che raccogliesse al centro il malessere trasversale della Francia di inizio millennio.
Ha avuto visione e ha avuto ragione. Ed ha sfruttato il madornale errore fatto dai partiti tradizionali, divisi sui programmi ma uniti nella storica debacle, nella miopia e nella strategia: fuggire dal centro, presentare candidati estremi per andare a combattere Marine Le Pen sul suo territorio.
Così i moderati Alain Juppé, da un lato, e Manuel Valls, dall'altro, sono stati sacrificati a favore di Benoit Hamon e François Fillon. Peccato che gli elettori abbiano preferito gli originali: Marine Le Pen e Jean Luc Mélenchon.
E in quel centro politico lasciato abbandonato si è infilato Macron, unico candidato moderato rimasto sul terreno, l'unico che ha continuato a parlare di Europa in maniera costruttiva e a rimanere freddo di fronte agli attentati dell'Isis a non parlare di inutili frontiere chiuse di fronte ad attentatori nati e cresciuti in Francia e che per colpire non hanno bisogno di attraversare confini.
Attorno a Macron si sta già coagulando la Francia che vuole rimanere un Paese leader in Europa e che vuole rinnovare e confermare i valori e i principi che sono alla base della sua storia e della storia dell'Europa.
A fare il tifo per lui sono in molti anche in Europa, perfettamente consapevoli che una vittoria della Le Pen segnerebbe la fine definitiva della storia dell'Unione europea.
Dopo la Brexit, sarebbe un colpo mortale per l'Europa.
I primi sondaggi sul ballottaggio danno a Macron il 62 per cento dei voti. Ma lui sa bene che non potrà pemettersi di sottovalutare Marine Le Pen, come Hillary Clinton ha sottovalutato Donald Trump e come i filo europeisti hanno sottovaluto il voto degli inglesi che dall'Europa volevano uscire e sono usciti. Come i socialisti e i repubblicani francesi hanno sottovalutato i segnali dei loro cittadini ed hanno pagato nelle urne la loro presunzione.
Il tornate della storia è appena all'inizio. Va percorso con consapevolezza, visione e coraggio.
Per Macron, e per l'Europa, saranno due settimane da vivere in apnea.
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