"La città non c'è più, ci sono solo rovine. E' impossibile da ricostruire. Se anche i russi la prendessero avrebbero conquistato macerie". In poche parole Anastasiya riassume il paradosso dell'invasione di Mosca: nella sua carica distruttiva non fa neanche più i suoi interessi. Anastasiya è una delle migliaia di persone fuggite dalla città martire di Mariupol. La sua casa, come l'80% degli edifici, è stata devastata dalle bombe russe. Lei, con i suoi due figli e il marito rimasto ferito, è fuggita prima a Berdiansk, poi a Dnipro, infine a Odessa. Soggiornando al Dream Hostel che, dall'inizio della guerra ospita decine di sfollati dall'Est, dando loro un primo conforto.
Georghe, il proprietario dell'ostello, dal 2014 gestisce un'associazione di volontariato nata per aiutare anziani, donne e fragili durante la guerra del Donbass. Con l'inizio della guerra ha messo a disposizione direttamente il suo ostello.
"Abbiamo costruito questa cucina in pochi giorni. Vogliamo dare un po' di riposo a chi scappa da Kherson, Mariupol, Melitopol. Persone estenuate dal viaggio", spiega all'ANSA. Al suo fianco c'è uno degli ultimi arrivati, Anastasiya. Un missile non ha centrato il suo edificio per una manciata di metri ma ha devastato ugualmente il suo appartamento facendo esplodere le finestre. "La prima cosa che ho fatto è stata coprire mio figlio dalle schegge, siamo stati fortunati", ricorda mentre tiene in braccio questo bambino così piccolo che ancora non ha imparato a parlare. Sono diretti tutti in Romania, dove questa giovane mamma ha una promessa di lavoro in un'azienda locale. "Non so quanto ci resterò, un giorno vorrei tornare in Ucraina, ma a Mariupol non c'è più nulla".
Il ricordo delle bombe è vivido. "Mio marito anche prima del 24 febbraio mi diceva di andar via di lì, e allora era tutto molto tranquillo". Poi è arrivato l'inferno. "Nel 2014 non era così, si sentivano i rumori della battaglia in lontananza, non nel centro. Non c'erano attacchi aerei", spiega Anastasiya. Lei non è certo l'unica ad essere arrivata ad Odessa da Mariupol. Kateriyna Yerska, nella città martire, faceva la volontaria e la cronista locale. "Putin andrà fino in fondo, fino all'Europa. Come tutti i dittatori proseguirà fino alla sua stessa fine", racconta all'ANSA in un colloquio telefonico. Per Kateriyna, a dispetto del 2014, questa guerra segna un punto di non ritorno tra russi e ucraini. "Ma sia chiaro, questa è la nostra terra. Noi siamo qui da prima dei russi, dai tempi del Rus' di Kiev", sottolinea ricordando il grande regno degli Slavi Orientali che, attorno all'anno Mille, raggiunse la massima espansione occupando tra l'altro la grandissima parte dell'attuale Ucraina.
Parole, quelle di Kateriyna, che si riflettono nella strenua difesa del fronte Sud e di Odessa, chiamata dal suo stesso sindaco Gennadiy Trukhanov il suo "fronte personale". Finora a Odessa sono arrivate quasi 490 tonnellate di aiuti umanitari, e in queste ultime ore le difese della città stanno aumentando. L'esercito ucraino ha intrapreso un altro ciclo di esercitazioni per far fronte a quella che, nei prossimi giorni, potrebbe essere una delle ultime offensive russe dal Mar Nero. A Odessa l'attendono e, nel frattempo, militari e tank si stanno spostando anche a Mykolaiv, per blindare ulteriormente la linea Sud. "Da qui alla prossima settimana sapremo la verità", spiegano più fonti locali. Convinte che, superato il guado, forse la vittoria sarà davvero vicina.