Il racconto dell'inviato dell'ANSA Lorenzo Attianese a Rivne, Ucraina, da una trincea al confine con la Bielorussia
Al confine bielorusso, 'solo 5 minuti per fuggire'
Gli abitanti di quei villaggi non lo dicono apertamente, ma lo fanno capire con i loro giri di parole. Si trovano tra l'incudine e il martello. L'ultimo grande avamposto prima della Bielorussia si chiama Rivne e circonda una centrale nucleare. Fino a lunedì scorso i missili russi, lanciati dall'altra parte, nei dintorni di Brest, hanno raggiunto e distrutto le antenne di emittenti televisive, due depositi di carburante e alcuni centri abitanti, facendo dei morti. "Eravamo isolati, ora abbiamo già ricostruito i contatti. Noi siamo pronti", dice Vitaliy Koval, il governatore della regione, ostentando parole di propaganda che nascondono più di un timore. E se dovessero arrivare ancora missili, la speranza di cavarsela dura giusto il tempo di una manciata di chilometri di traiettoria dei razzi spediti dalla Bielorussia. "Avremmo cinque o al massimo dieci minuti per raggiungere i rifugi, poi arriva l'esplosione". A Rivne è più rassicurante mettere in conto l'eventuale apertura di un fronte da terra, dove la cintura di soldati ucraini nella foresta potrebbe proteggere i villaggi e la stessa città. O almeno scongiurare la presa della centrale nucleare, una delle tante nel Paese, ma esposta alle truppe di Putin almeno quanto Chernobyl, per la sua posizione.
"Sulla centrale continuano a sorvolare droni russi, ne abbattiamo uno al giorno", continua soddisfatto Koval, che da quando è cominciata la guerra ha tolto giacca e cravatta e veste panni militari: "Ora bisogna essere come loro, altrimenti non verrei capito". Del resto il palazzo del governatorato è diventato una caserma, con un via vai di soldati dagli inseparabili kalashnikov. Girano tutti con un nastro adesivo che copre lo stemma del proprio battaglione su un braccio. L'intento è di non fornire nessuna informazione al nemico, che con le sue spie osserva tutto. E il terrore delle spie rasenta il limite di una paranoia che non si vedeva dai tempi della Ddr. Qualche settimana fa l'ultimo 'traditore' della resistenza è stato identificato in un violinista della filarmonica di Lutsk, una città a pochi chilometri. "Ieri invece a Rivne abbiamo trovato una donna con un binocolo e un programma sul cellulare che inviava informazioni ai russi e così l'abbiamo portata alla polizia", dicono i soldati volontari, convinti di aver messo nel sacco l'ennesimo "infame informatore di Putin".
Nei villaggi invece la difesa dal nemico è meno cerebrale, restano sparsi i metri di trincee di filo spinato, i sacchi ammassati e le gomme impilate agli incroci attraversati dalla strada statale che unisce i grandi centri e spesso è percorsa dai camion militari dell'esercito ucraino, con tubi di scappamento che perdono fumo nero sprigionato sulle code di auto, che seguono lente e gli alberi delle foreste intorno. Ora che la Russia è stata attaccata nei suoi confini a Belgorod, alla frontiera di Rivne si teme un attacco. Anche per questo alla centrale nucleare è stata studiata una strategia di difesa. "Abbiamo riflettuto su quanto è successo settimane fa in quella di Zaporizhia, a Sud", dice il governatore premurandosi di tenere segrete le tattiche militari. Qui il mantra di battaglia suona un po' come un avvertimento: "Se saremo colpiti, il disastro radioattivo sarà per tutti, poi possono pure portare fuori i militari russi da una nuova Chernobyl, ma non potranno mai portare fuori la Chernobyl che entra in un militare".
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