di Eloisa Gallinaro
Natalia abbraccia come una chioccia protettiva Yaroslav e Yana, i suoi due gemelli di 11 anni, felice. Tutti e tre stretti stretti, seduti su un letto d'ospedale dal quale mamma Natalia e la piccola Yana non possono alzarsi perché non hanno più le gambe. Gliele ha strappate via un missile russo mentre erano in fila alla stazione di Kramatorsk in attesa di un treno per fuggire a Leopoli. Via dalla guerra e dalla paura.
Ma il fuoco di Putin non guarda in faccia nessuno, men che meno i civili, i bambini, i vecchi. Ed è arrivato quando la salvezza sembrava a portata di mano, e la speranza aveva la forma di un bicchiere di tè prima del viaggio. Quel tè che i volontari offrivano agli sfollati e che Yana voleva. Così Yaroslav era rimasto a sorvegliare i bagagli e mamma e figlia erano andate a prendere la bevanda per scaldare il cuore oltre che l'inverno. Era la mattina dell'8 aprile e in un minuto si è scatenato l'inferno. Sulla stazione ferroviaria dove erano ammassate migliaia di persone in attesa di partire i russi hanno lanciato un missile che la commissaria per i diritti umani del Parlamento ucraino Lyudmyla Denisova ha identificato come un missile a grappolo ad alta precisione Iskander: 59 i morti, almeno 10 bambini, centinaia i feriti, auto in fiamme, detriti ovunque. E Mosca che si è affrettata a negare qualsiasi responsabilità addossando la responsabilità dell'attacco, secondo un trito copione che non ha convinto nessuno, a una "provocazione" ucraina.
"Quando ho aperto gli occhi tutto era coperto di sangue. Mia figlia non aveva più le gambe - ricorda Natalia - e io non riuscivo più ad alzarmi". Yaroslav non è stato ferito, salvato dal suo compito di piccolo guardiano dei trolley con le poche cose portate via da una casa che forse non c'è più. Ora, nell'ospedale pediatrico di Leopoli dove si trovano da settimane, quel bambino biondo si prende cura delle sue due donne, con il papà morto e il compagno della mamma al fronte.
"Va persino al negozio, vicino all'ospedale", raccontano medici e infermieri. E in quella stanza finalmente tranquilla si fanno forza, si abbracciano. L'agenzia Unian ci restituisce le foto di quei monconi fasciati, della felicità di essere vivi e insieme, di chi riesce a progettare un futuro in America, alla ricerca di riabilitazione e protesi per poter camminare di nuovo. Di chi riesce persino a sorridere.