"Domani Patrick Zaki sarà in Italia e gli auguro dal profondo del cuore una vita di serenità e di successi". Così la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio.
"Patrick Zaki ha oggi ricevuto la grazia dal presidente egiziano, e voglio ringraziare per questo gesto molto importante il presidente Al Sisi. Fin dal nostro primo incontro lo scorso novembre io non ho mai smesso di porre la questione, ho sempre riscontrato da parte sua attenzione e disponibilità. E voglio ringraziare l'Intelligence e i diplomatici, tanto italiani che egiziani, che in questi mesi non hanno mai smesso di lavorare per arrivare alla soluzione auspicata". Lo ha detto in un videomessaggio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Patrick sarà rilasciato in mattinata alle nove, ora locale egiziana, le otto in Italia: lo ha detto Khaled Ali, un noto avvocato e attivista politico, ex-candidato alle presidenziali egiziane, contattato per telefono dall'ANSA.
La grazia concessa a Patrick Zaki è frutto di una "lunga e costante trattativa" tra il governo italiano e quello egiziano, che ha visto protagonisti il premier Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha svolto diverse missioni in Egitto in questi mesi, e l'Aise, l'agenzia di intelligence che si occupa dell'estero."In politica conta il lavoro, contano i fatti, e i fatti ci sono stati, non avevamo dubbi". Lo ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani in un punto con la stampa in piazza Montecitorio,
Patrick Zaki, ieri era stato condannato ieri a tre anni, ha ricevuto la grazia presidenziale. Lo hanno reso noto le autorità egiziane. Il "Presidente Abdel Fattah al-Sisi (...) usa i suoi poteri costituzionali ed emette un decreto presidenziale che concede la grazia a un gruppo di persone contro le quali sono state pronunciate sentenze giudiziarie, tra cui Patrick Zaki e Mohamed El-Baqer, in risposta all'appello del Consiglio dei segretari del Dialogo Nazionale e delle forze politiche": lo ha scritto su Facebook un componente del Comitato per la grazia presidenziale egiziano, Mohamad Abdelaziz.
Il sindaco di Bologna: "Una grande gioia"
"E' una grande gioia per Bologna, spero significhi abbracciarlo presto e riaverlo in città. Bisogna ringraziare anche tutti gli attivisti che si sono spesi per Patrick Zaki, Amnesty, il rettore, la professoressa Rita Monticelli, i governi che si sono succeduti e anche l'ultimo governo, che ha dialogato con l'Egitto. Per ora mi fermo qui, attendiamo altre notizie e speriamo che Patrick possa lasciare il Paese per averlo qui, è una grande gioia per Bologna, lo voglio ripetere". Lo ha detto il sindaco di Bologna, Matteo Lepore.
Amnesty: "E' un giorno di felicità"
"Se ieri era un giorno catastrofico oggi è un giorno di felicità. E' importante che Patrick torni a essere libero. Auspichiamo, se questo provvedimento non lo contempla, anche che sia abolito il divieto di viaggio. E questa piazza che si sta riempiendo al Pantheon, se un'ora fa era preoccupata, ora è una piazza felice". Lo dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, commentando la grazia concessa a Patrick Zaki.
"Voglio esprimere la gioia di tutto il Senato per questo risultato. Voglio ringraziare tutti quelli che si sono spesi in questi anni per questo risultato. Ci tenevo ad esternarlo all'Assemblea". Il senatore del Pd Filippo Sensi interrompe i lavori dell'Aula del Senato per comunicare all'Assemblea la notizia attesa da ieri. Un lungo applauso accompagnale sue parole. Si associa al pauso il senatore Giulio Terzi a nome di Fratelli d'Italia che intesta al governo il risultato: "grande soddisfazione - afferma Terzi - per l'importanza di un passo così decisivo".
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
La condannaPatrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: "Tre anni". Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. "Mio Dio, me l'hanno preso", ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata. Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite. La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionale' annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente "di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio" di Zaki e "di non far eseguire la sentenza".
Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo "ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico". Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella "fiducia" manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. "Dove lo portano? Dove lo portano?", aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo
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