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Delhi sfida Pechino in Africa, 'impareranno da noi'

Il colosso indiano Shapoorji Pallonji: 'In 25 anni domineremo'

Delhi sfida Pechino in Africa

Redazione Ansa

Sedute una a fianco all'altra al club dei Brics a Johannesburg, pronte a una lotta senza quartiere nel prossimo quarto di secolo per allargare la propria orbita in tutta l'Africa. E, di riflesso, sulla scena geopolitica ed economica mondiale. Dall'alto delle due torri gemelle 'Imperial', nel cuore di Mumbai, il colosso indiano delle costruzioni e degli investimenti Shapoorji Pallonji - allineato al governo di Narendra Modi - riaccende la grande sfida asiatica con la Cina. E la presenta con un semplice assioma: "Noi abbiamo imparato da loro, ma ora loro impareranno da noi". A partire da quegli investimenti nel Sud Globale che saranno prima sul tavolo del vertice delle economie emergenti - ed ex tali - in Sudafrica e poi nell'agorà dei leader del G20, attesi il 9 e 10 settembre a Delhi.
    Al centro di un hub finanziario in continua espansione che affaccia sull'Indo-Pacifico tormentato dalle mire cinesi verso Taiwan, nel quartier generale di Shapoorji Pallonji la linea d'azione è già tracciata: "I prossimi 25 anni saranno dell'India". E, presentando la sua prospettiva alla stampa arrivata in avanscoperta a tre settimane dal summit indiano, il rampante trentenne Pallon Mistry, alla guida della holding di famiglia e nell'olimpo dei super paperoni asiatici - non esita a descrivere l'India come "la terra delle opportunità". Lo dimostra il fatto, evidenzia, che sia ormai "la più popolosa democrazia del mondo" con un sorpasso a quota 1,4 miliardi di abitanti - dall'età media di 28 anni - già avvenuto ai danni del Dragone. Al quale ora l'ex colonia un tempo gioiello della Corona dello sterminato impero britannico punta a sottrarre quanti più centimetri possibili sulla Via della Seta targata Xi Jinping. A suon di investimenti in infrastrutture, energia, acqua e costruzioni.
    Per avanzare sui settori strategici e plasmare un nuovo ordine mondiale e non lasciare l'India relegata al rango di eterna promessa incompiuta, il giovane corso del subcontinente può contare, oltre al conglomerato con sede a Mumbai, anche sulla forza degli altri big Adani e Tata. Un'imprenditoria che - con il governo che ancora si guarda dall'esercitare pressioni pubbliche troppo pronunciate su Pechino - porta avanti la missione tra le cordialità di rito improntate al "dialogo" e alla "cooperazione". Alla corte di Mistry sono 35mila i dipendenti al lavoro e 40 le collaborazioni in tutto il mondo - Italia compresa -, con l'Africa salda in testa ai progetti già realizzati o in cantiere tra nuove strade e ferrovie in Ghana, edifici governativi in Niger e Zimbabwe, impianti di depurazione e stoccaggio dell'acqua a Zanzibar, in Tanzania e in Gambia, data center in Egitto, hub portuali in Mauritania e centrali diesel in Guinea. Tutti progetti iconici spesso realizzati in cordata con lo Stato. La chiave, è il credo del direttore S.
    Kuppuswamy, è "lavorare per lo sviluppo dell'Africa" dove, Pechino o Delhi, "ognuno ha la sua parte da svolgere". Ma, dopo anni di "apprendimento reciproco", nella visione indiana ora Pechino imparerà da Delhi soprattutto "come stabilirsi e soddisfare le aspirazioni regionali".
    Una contesa che promette di estendersi anche al real estate.
    Con il mercato immobiliare cinese in profonda crisi, gli analisti vedono potenziali vantaggi a lungo termine per l'India.
    E dal colosso di Mumbai, che a forza di riqualificazioni di villaggi e baraccopoli sta facendo leva sul settore, con un sorriso fanno sapere di non aver alcun timore di un effetto domino dai vicini. 
   

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